Spiro Scimone, nato a Messina nel 1964, oggi a trentasei anni (nel 2000, ndr), è considerato nel panorama teatrale italiano e internazionale uno dei più espressivi autori contemporanei. Attore prima, autore in dialetto messinese poi, infine con il suo ultimo lavoro, La Festa testo scritto in italiano, Scimone ci racconta tutte quelle gamme d’emozioni vitali e fortemente drammaturgiche che ricordano la sua terra, quell’isola baciata dagli dei e a volte, troppo spesso, dimenticata dallo Stato che la rappresenta. Da un incontro in terra del Nord, nasce un grande sodalizio con Francesco Sframeli che li vede ambedue in scena nel 1990 in Emigranti di Mrozek per la regia di Massimo Navone e successivamente in altri spettacoli, Memorandum di Havel e Aspettando Godot di Beckett.

Nel 1994 con il testo Nunzio nasce l’autore Spiro Scimone, un autore che narra in dialetto una giornata di due personaggi, due figure di meridionali emigranti per motivi di lavoro, ma mentre Nunzio è operaio in una fabbrica di prodotti chimici, Pino è un killer, una storia «della porta accanto», d’emarginazione, di silenzio e poi di amicizia nella diversità. Con Nunzio, Scimone vince il premio IDI autori nuovi nel 1994 e la medaglia d’oro IDI per la drammaturgia nel 1995; sempre nel 1995 lo spettacolo debutta al Festival di Taormina e si concretizza un particolare incontro artistico con una delle figure più autorevoli del teatro italiano, Cado Cecchi che ne cura la regia. Spiro Scimone e Francesco Sframeli lavoreranno poi, insieme con un gruppo di giovani attori (Iaia Forte, lo stesso Valerio Binasco) per la regia di Carlo Cecchi, a quella che sarà considerata una delle operazioni teatrali più rischiose e più belle degli ultimi anni la cosiddetta Trilogia di Cecchi con Amleto – Sogno di una notte di mezza estate – Misura per Misura di W. Shakespeare, per più di tre anni in cartellone al Teatro Garibaldi di Palermo. Intanto Il Festival di Taormina ospita nel 1996 anche la prima di Bar, per la regia di Valerio Binasco il secondo testo scritto da Scimone sempre in dialetto messinese. Lo spettacolo è la storia di due amici che si incontrano in quattro giorni diversi, nel retro di un bar, uniti questa volta da una cruda consapevolezza e da un misterioso omicidio, una scrittura e un gioco teatrale immediato e spietato come può essere a volte solo la stessa amara realtà.

Nel 1997, Spiro Scimone e Francesco Sframeli, vincono il premio UBU rispettivamente come «nuovo autore» e «nuovo attore». Il terzo testo La Festa, con cui la compagnia «Scimone Sframeli» è oggi (nel 2000 ndr) in tournée in Italia e all’estero, non ha fatto loro dimenticare gli altri due testi che sono presenti nei cartelloni delle maggiori piazze italiane.

Scimone racconta con i suoi testi, la nostra contemporaneità e sbalordisce in questa tutta sua capacità di coniugare il sacro con il profano, il ridere con inquietanti riflessioni, ma più di tutto meraviglia come sappia essere moderno, senza dimenticare quelle profonde radici cui appartiene. Probabilmente i due personaggi di Bar non possono che parlare in dialetto messinese, voci tagliate e sorde, dialoghi veloci ritmati da una musica di sottofondo di una radio qualsiasi. Il mondo fuori, rimane fuori, loro sono là, il retrobottega di un bar a raccontare di loro e attraverso due corpi attoriali in crescendo, riescono a farsi sentire, a dare una voce finalmente vera e inquieta di un sud, di quel sud che facciamo finta che non esiste, solo una statistica che impenna il grafico di disoccupazione, solo un caso cronico senza via di uscita, in cui è inutile investire risorse e tempo. Nino e Petru invece ci fanno sorridere, ridere, ma poi ci fanno pensare, ci scuotono da un torpore sociale indotto e lasciano a noi spettatori la ricerca di un finale che sulla scena non avviene. Inevitabile è uscire da uno spettacolo di Scimone discutendo, reagire a quelle piccole o grandi provocazioni cui abbiamo assistito e a volte ricercare un dialogo attraverso proprio la storia che ci è stata raccontata su di un palcoscenico. Il lavoro di Spiro Scimone in fondo è proprio questo, rappresentare delle storie piccole o paradossali, estremizzate nella loro realtà, e trasformare la parola scritta in parola drammaturgica, il che significa attuare una doppia operazione. Innanzitutto osservare la parola che scritta a tavolino vola nella bocca di un attore ci deve essere una facilità nel volo e una bella dose di osservazione per l’autore che l’ha scritta, deve essere una parola giusta per essere detta, una parola in movimento. E poi riuscire a fare arrivare quella parola allo spettatore, la parola deve viaggiare nell’aria e dal palcoscenico tuffarsi nella testa e nel cuore fino al pubblico delle ultime file che a star sentire il Vangelo alla fine dovrebbero essere i primi, i primi a capire, a fare delle cose, pensare che lo spettacolo teatrale è un modo per comunicare, per creare energia e trarre spunti di riflessione dove c’è ancora spazio per la speranza, per una rinascita.

Nino e Petru forse non sanno appieno quello che succede fuori e quanto loro possono cambiare la realtà costretti a vivere, di ceno a nessun dei personaggi di Scimone manca il coraggio di provare ad andare avanti e quando in ogni caso vuoi proseguire in un viaggio che è un punto interrogativo, significa che la realtà che vivi, a parte se ti piaccia o no, di sicuro non ti basta più e desideri in ogni modo cambiarla. Il come potrebbe essere discutibile, ma il perché si faccia tutto questo è sicuramente un moto dell’animo umano che nessuno ha il diritto di giudicare, né tantomeno di interferire con quella che è un’attesa prioritaria dell’individuo.

Maria Caterina Prezioso

Bar
di > spiro scimone
con > francesco sframeli > spiro scimone
regia > valerio binasco
scena > titina maselli
regista assistente > leonardo pischedda
foto di scena > andrea coclite
direttore tecnico > santo pinizzotto
amministrazione > giovanni scimone
produzione > compagnia scimone sframeli