Pino Calafiore ha quarantanove anni, è obeso e lavora come archivista presso il Banco Laziale a Roma. Viene continuamente deriso dai colleghi, è impacciato, goffo, rassegnato al suo destino. Eppure, anche un perfetto antieroe come lui ha una fidanzata, Serena, ragazza madre che lo spinge a tentare diverse volte l’impossibile scalata verso il dimagrimento. La fame di Calafiore infatti è inesauribile, un desiderio di cibo atroce e implacabile che nasconde vuoti più profondi. All’ennesimo tentativo di dimagrimento andato in fumo, Calafiore perde amore, casa e lavoro. Non essendogli rimasto neanche un briciolo di dignità, decide di partecipare al Guinness World Record tentando di mangiare più tramezzini possibile in un quarto d’ora. La discesa agli inferi di Calafiore sembra però non aver fine. Viene rapito infatti da Marta e Federico, due ragazzi che si sono convertiti per caso al cannibalismo e che vogliono banchettare con il grasso roseo del protagonista in diretta web. Pino Calafiore diverte, fa ridere amaramente e intenerisce. Il più delle volte vorresti prenderlo a sberle per la sua totale incapacità a reagire, difetto che si porta dietro fin da piccolo.

“I ragazzini della mia classe si accanivano sempre contro di me appena mi vedevano varcare la soglia dell’aula. Bii, è arrivato Calafiore, fottiamolo a legnate. Ogni mattina, finchè non arrivava Suor Emma a disperderli e mi trascinava per un polso ai bagni: Certo che anche tu Calafiore…

Io cosa?

E reagisci, no?

Ma Gesù ha detto porgi l’altra guancia.

E lei, ficcandomi la testa sotto l’acqua gelida: Si, vabbè, aiutati che Dio t’aiuta, Calafiore!”

In un’epoca in cui il cibo sembra diventato l’unica fonte di guadagno, passiamo il tempo davanti a TV e smartphone dove rimbalzano quasi ossessivi ricette succulente, programmi culinari e reality su faticosi tentavi di dimagrimento da parte di obesi senza speranza. Una bulimia di cibo perenne.

Arturo Belluardo si fa beffa dell’umanità raccontando un rapporto col cibo spesso triste, malsano, addirittura macabro. E lo fa con una comicità irresistibile e graffiante, una buona dose di pulp, splatter e crudeltà che ricorda alcuni esilaranti romanzi di Niccolò Ammaniti. Una prosa che alterna magistralmente il dialetto siciliano a quello romano dando vita a dialoghi verosimili, pronti per la sceneggiatura di un film.

Un linguaggio intenso e palpitante, ricco di metafore, similitudini icastiche e descrizioni che esplodono come fuochi d’artificio. Nelle pagine che raccontano il cannibalismo poi diventano minuziose, chirurgiche, taglienti. Un desiderio ripugnante, animale e primitivo che suscita un disgusto tale da renderne difficile la lettura. Ma è proprio questo impasto di sensazioni viscerali a spingere con forza il lettore verso un epilogo inaspettato e impietoso. Calafiore, pubblicato da Nutrimenti, è un romanzo sorprendente e onirico, l’allegoria di una società disumana che schiaccia e annienta il più debole fino a renderlo cibo di cui nutrirsi.

Marina Lorusso