Ad aprire e chiudere Cemento è la frase «Rudolf scrive», che sarebbe una frase normalissima, se il libro non ruotasse attorno all’impossibilità di scrivere. È lo stesso Rudolf, incapace di scrivere il suo saggio su Mendelssohn Bartholdy, ad avvertire il lettore che non è possibile scrivere di qualcosa su cui ci si è troppo documentati. Quest’avvertimento trova particolare risonanza in chi, dopo la lettura del romanzo, volesse cimentarsi con una recensione dello stesso. L’avvertimento guadagna ancora più potenza in quel lettore che, volendosi cimentare in una recensione di Cemento, si ricordasse che Cemento non è l’unico romanzo dello scrittore austriaco Thomas Bernhard a essere finito nelle sue mani e ad essere stato rapidamente divorato dai suoi occhi.

Il problema principale di Rudolf, nel comporre il suo saggio su Mendelssohn Bartholdy, è la prima frase; problema che l’autore di Cemento, nell’inscenare l’impossibilità di scrivere e, in particolare, di iniziare a scrivere, risolve enunciando nella prima frase del suo romanzo che un soggetto sta scrivendo: esplicitando l’azione, riesce a dare avvio alla narrazione senza cadere nella stessa trappola del proprio protagonista. Al contempo, la soluzione semplice e diretta complica indirettamente la struttura, poiché chi viene mostrato nell’atto di scrivere è proprio colui che a scrivere non riesce. Se qualcuno decidesse mai di scrivere una recensione su una persona che, rappresentata nell’atto di scrivere, denuncia l’impossibilità di scrivere, si ritroverebbe particolarmente in difficoltà, soprattutto al momento di scrivere la prima frase, ostacolo insuperabile per il protagonista, Rudolf, e superato con uno stratagemma dall’autore.

È possibile allora che il lettore si ritrovi in un vortice infinito, che è al contempo centripeto e centrifugo (e questo, vorrei chiarirlo, non capita solo a quel lettore che vuole diventare a sua volta scrittore della recensione di un libro scritto da qualcuno che vuole riportare l’esperienza di un soggetto che non è in grado di scrivere, ma, anche se da punti di vista diversi, a qualunque lettore si approcci a qualunque opera di Bernhard); questo vortice sembra realizzare quell’«annientamento» che sembra condizione assoluta nel romanzo («annientare» e i suoi derivati sono molto ricorrenti). Rudolf si sente annientato dalla sorella, su cui scarica tutta la colpa della propria inconcludenza, e al contempo ne è assorbito, poiché, come egli stesso dichiara, non solo sente la presenza della sorella anche quando questa è assente, ma è proprio lui a richiamarla a sé quando comincia a percepirne l’assenza. Allo stesso modo la prosa martellante, vorticosa e incessante di Bernhard annienta e assorbe il lettore, lo immette nel flusso del monologo ossessivo del protagonista e gli lascia assorbire e interiorizzare il pensiero e gli ingranaggi che lo muovono, fino al punto da costringere il lettore a pensare come se fosse un personaggio dell’autore e non più un individuo a sé stante, «un pensatore autonomo» (come si definisce Rudolf). Chi provasse a pensare o scrivere qualcosa subito dopo essersi cimentato con un’opera di Bernhard noterebbe come è impossibile abbandonare – e se non impossibile, raggiungibile solo dopo un percorso doloroso e tormentato – l’impostazione monologica e monolitica del suo pensiero. Prova ne sono vari scrittori italiani, che in questi ultimi anni hanno adottato e interiorizzato lo stile bernhardiano, facendosi contaminare da esso e, viceversa, contaminandolo con la propria individualità (mi riferisco qui in particolare a Maino, Nori, Trevisan).

Rudolf è, e al contempo non è, l’unico personaggio del romanzo: non lo è, perché nella vicenda compaiono la sorella e Anna Härdtl e altre figure a loro annesse; lo è, perché Cemento è un monologo in cui i pensieri e le azioni degli altri personaggi vengono filtrati dalla soggettività di Rudolf e non hanno vita se non nel suo pensiero. Rudolf è solo perché sceglie di esserlo, sceglie di non rivolgere parola a nessuno, e vive appartato in una casa di ampie dimensioni, che è descritta però come una cripta buia e umida. Allo stesso modo in cui Rudolf si sente fisicamente rinchiuso, egli sente la propria mente intrappolata in un unico pensiero, la scrittura del saggio su Mendelssohn Bartholdy, pur avendo una cultura molto vasta e molti altri interessi a cui potrebbe dedicare il suo tempo.

Cemento è un libro dalle grandi contraddizioni, e alcune sono già accennate nelle righe precedenti: un personaggio che scrive per narrare della sua impossibilità di scrivere; che dice di sentirsi annientato da una sorella da cui non riesce a staccarsi mai veramente. Rudolf sostiene di non avere neanche un amico o un’amica e poi definisce Anna sua amica; si ritiene un grande pensatore ma è consapevole della propria pazzia; dice di essere impegnato da dieci anni unicamente nella scrittura di un saggio di cui non ha scritto neanche una riga e poi sostiene di aver scritto, in quel lasso di tempo, altri saggi che l’hanno distratto da quello su Mendelssohn Bartholdy. Ultima grande contraddizione allora, sul piano metaletterario, non può che essere la considerazione sulla pubblicazione di un proprio scritto, che riporto qui come ideale conclusione di questa recensione:

«Pubblicare è un’assurdità, se non addirittura un crimine intellettuale, o meglio un delitto capitale dell’intelletto. Noi pubblichiamo soltanto per soddisfare la nostra brama di gloria, per nessun altro motivo, se non per il motivo ancora più abbietto di far soldi […] Ogni pubblicazione è una coglionata e la prova di un tratto negativo del carattere. Pubblicare l’intelletto è il più vergognoso dei crimini e io non ho esitato a compiere più volte questo crimine più vergognoso di tutti».

Enrico Bormida