Si rese conto che a realizzarli, i desideri, li tradisci anche.

È tornata la penna di Silvia Avallone, con tutta la sua carica di vita, terra e sentimenti.

Perché lei fa così: riesce a mischiare la polvere, l’acciaio e il cuore.

Ha degli ingredienti segreti, di sicuro.

Conoscere il male fa sprofondare in un abisso scuro, dal quale sembra senza senso riemergere. Si sceglie di allontanarsi dagli altri, credendola una protezione, scoprendo che in realtà è un altro castigo, una pena che mette di fronte ogni giorno al proprio senso di colpa, al buco nel quale si vuole rimanere per sempre, invisibili.

Emilia il male lo ha compiuto, in un modo atroce, quando era una ragazzina.

Lei che ora sta cercando rifugio e solitudine imboccando il sentiero chiamato Stra’ dal Forche, risalendo un bosco che separa quella strada dal resto del mondo.

Ha scontato tutto, ha pagato, anni in un carcere minorile assieme ad altre come lei, ribelli e fragili, sfrontate e spaventate.

Bruno, il maestro, il male invece lo ha subito, non da Emilia, ma tant’è.

Il dolore semplifica e classifica: voi di qua noi di là, voi carnefici noi vittime, bianco e nero che mai si devono incontrare.

“Siamo chiaroscuri. Buchi pieni di buio da cui escono, a volte, fortuiti tagli di luce. E tu sei buono, l’ho visto subito. Sei arrabbiato, asserragliato in te stesso come un intrico di spine, ma sei buono. A differenza mia”.

Emilia lo sa, e per questo quando inizia a frequentare Bruno lo tiene all’oscuro di tutto, per proteggere se stessa, ma anche lui dall’orrore che sente dentro di lei, quel grumo nero che la riempie, e che la definisce. Lei, l’assassina, lui, l’innocente.

Ma l’amore, può consentire esse stesso di contenere buchi neri?

O all’amore devi consegnare tutto, atrocità comprese?

Le solitudini di Emilia e di Bruno si riconoscono, anche nel silenzio dei loro passati, si avvicinano, si cullano in una sembianza di normalità. Emilia, dopo quindici anni di isolamento, è una donna interrotta, bloccata in un corpo di ragazzina, che non è abituata ad addormentarsi da sola, e si taglia per zittire il rumore nella testa, Bruno è un sopravvissuto, un bambino diventato vecchio in un attimo, senza aver vissuto, mascherato dietro una barba lunga e l’assenza di relazioni. Emilia e Bruno sono due esseri segnati, che si puniscono per essere vivi, due cuori che si sono chiusi dentro la pietra per non essere feriti dalla luce.

Questa consapevolezza della nostra caducità e vulnerabilità porta alla ricerca di redenzione e alla necessità di trovare un senso nella propria esistenza. Silvia Avallone, con la sua scrittura empatica e coinvolgente, che riempie le increspature dell’anima con parole e lacrime e forza, ci invita a riflettere sulla nostra condizione umana, sulle nostre paure e fragilità, ma anche sulla possibilità di trovare speranza e riscatto nel corso della vita.

E sulle crepe stesse, da cui, anche se non entra la luce, se ne intravede la sua possibilità.

«È stato l’inferno» dissi a Emilia. «Finché tu, di punto in bianco, dopo venticinque anni, non mi hai fatto venire il dubbio che, nonostante tutto, valga ancora la pena vivere».

Natalia Ceravolo