E sia. Di primo acchito il titolo di questa silloge poetica potrebbe dare un senso di arrendevolezza che poco si addice all’immagine che ci vuole vincitori a tutti i costi tanto in voga nella società odierna. In realtà c’è tutto un senso che afferisce al mondo greco, ossia la consapevolezza del destino e della sua forza ineluttabile. In virtù di queste premesse si vive la propria esistenza seguendo il corso e il decorso naturale degli eventi. Lo sforzo di Grazia Procino in quest’opera sembra voler rendere contemporaneo l’antico, il mondo di sempre, lo stesso che si ripropone con tutte quelle tematiche che ogni generazione è chiamata ad affrontare.

A conferma di questo forte legame con il mondo antico, possiamo appellarci a varie figure epiche che si susseguono nelle liriche e alla struttura del libro, suddivisa in un prologo, tre stasimi, una monodia e ancora uno stasimo finale, tutte parti che rievocano la tragedia greca. E forse questa ripartizione non è una scelta casuale: che siano taciuti gli episodi ed evidenziate, invece, quelle parti in cui la poesia ha bisogno di emergere maggiormente al di là della storia personale? Possibile. Ogni essere umano può trovare nell’arte la rappresentazione di se stesso ed è in questa dimensione che Grazia Procino tenta con fatica di mettere la poesia al centro dell’uomo senza rinunciare ad una vocazione universale, come testimonia una delle poesie in apertura, Radici.

Fortunato chi ha radici.
Un’Itaca e una Penelope dove ritornare.
Le Sirene a impedire il viaggio,
i Ciclopi a mostrare che un altro mondo esiste,
Circe a cospargere di lussuria il corpo
già madido di sudore,
Nausicaa a ricordare il tempo che fu,
i Proci pronti a portar via
quello che è tuo di diritto,
ma tu sei Odisseo, un padre e un marito,
un uomo che sa piangere.

In questa breve lirica, ad esempio, ci troviamo dinanzi a una piccola allegoria in cui l’antico si manifesta in pochi versi con il tema delle origini, una questione fondamentale anche all’epoca della società liquida in cui l’uomo, deprivato di riferimenti solidi, smarrisce se stesso. Grazia Procino lo propone attraverso il viaggio di Odisseo, una vera e propria esperienza di vita che trascina l’eroe greco in mille peripezie fino al compimento del ritorno a casa, quella Itaca evocata da un poeta molto caro all’autrice, Costantino Kavafis: «Quando ti metterai in viaggio per Itaca / devi augurarti che la strada sia lunga, / fertile in avventure e in esperienze». Nel solco del poeta greco, le radici non possono e non devono soccombere agli spostamenti, le radici viaggiano con noi fino al ritorno, ovvero il punto di origine. E sembra, infatti, che non ci sia un’origine senza un ritorno, per dirla con Cesare Pavese: «Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti». E nel frattempo il ricongiungimento alle origini solca l’esistenza, ha forgiato l’uomo, ha dato sapienza malgrado gli errori e le tentazioni.
Nell’esperienza si compie la vicenda umana più che nella morte, perché la fine sopraggiunge anche senza esperienza, ma la vita, quella vissuta, è un viaggio di consapevolezza e dolore. La poeta pugliese tira in ballo proprio Kavafis nella sua Insegnamenti di Kavafis:

Ho vissuto troppo dolore
per non intuirlo negli altri.

Ho dovuto accogliere troppe rinunce e

le ho trangugiate, amare, insieme agli strascichi
di denso fastidio. Ho capito che la tua felicità
può procurare nell’altro dolore,
non puoi farci niente.
Tu puoi solo decidere di viverla o di rinunciarvi.
Se la vivi, guarderai all’altro che è in pena,
se vi riunì, nessuno
avrà cura del tuo nobile gesto.

Non mancano, naturalmente, alcuni spazi riservati a momenti biografici, incentrati sull’amore, l’amicizia e l’appartenenza (Coltivazione lenta, Viaggio in solitaria, A Corfù), eppure agli occhi di un lettore accorto non sfuggirà il fondo che nutre le pagine di questo libro, uno spiccato senso civile, come viene mostrato esplicitamente in Raccoglitrice di pomodori in una campagna pugliese («Impazzire di fatica è umano? // Chiedo a chi guarda dall’altra parte / E non vuol vedere»), La fuga di Humanitas («Si denuncia la fuga senza più ritorno a Humanitas»), Per ogni paese addormentato d’Italia («Quando inaffieremo i cipressi per i morti / avremo un futuro»).
E sia, dunque! Siano l’uomo e la donna come devono essere, con le loro forze e debolezze, in lotta contro il destino avverso, incamminati su sentieri incerti, ma pur sempre capaci di portare avanti le proprie vite. E sia il nostro mondo, con la sua bellezza e le sue ingiustizie, senza mai perdere la capacità di guardare avanti. E sia anche l’illusione, purché sentita e funzionale all’esperienza e, di conseguenza, all’esistenza.

Federico Preziosi