Raskòl’nikov, il celebre personaggio tratteggiato da Fëdor Michajlovič Dostoevskij nel suo Delitto e castigo, è vivo, gode di ottima salute e si aggira per le vie di Torino. Nei panni di Michele Barbieri. Gli ha ridato in qualche modo vita Marco Lazzarotto, con il suo A cosa stai pensando? edito da Miraggi.

Tutti i paragoni con i mostri sacri della letteratura mondiali risultano scomodi, inappropriati, fuorvianti. Perfino ridicoli. Ma leggendo le pagine di questo libro ho pensato al grande Fëdor.

Un uomo per bene quasi per caso si trova a compiere un atto violento ai danni di un’anziana signora. La lenta metamorfosi che ne segue lo porrà a convertirsi nell’esatto opposto di ciò che era all’inizio della vicenda: una brava persona.

Ma se nello scrittore russo, Raskòl’nikov, studente fuori sede costretto dalla ristrettezza economica ad abbandonare gli studi, compie il suo assassinio per contrastare l’estrema povertà nella quale conduce la sua misera esistenza, nella Torino contemporanea il giovane Michele colpisce un’anziana turista accidentalmente. Nessuno scopo, se non il caso.

Attraversando la strada sulle strisce un’auto sta quasi per travolgerlo, così Michele afferra da terra un sampietrino e lo scaraventa con tutta la sua rabbia contro la Panda pirata. Quando torna a casa però apprende dalla compagna Sandra, blogger in cerca di consacrazione sul web, che un pazzo in centro ha lanciato un cubetto di porfido su una turista inglese ferendola in modo grave. L’episodio viene immortalato da MorganaScrive, blogger rivale di Sandra, grazie ad un post diventato virale.

Il dramma interiore per aver compiuto due omicidi, così magistralmente ricostruito in Dostoevskij attraverso il tormento, il senso di colpa e la conseguente solitudine del suo protagonista (che già nel cognome – Raskòl’nikov viene investito da un forte simbolismo perché in russo raskolet significa “scissione”), sono narrativamente opposti al vissuto emotivo di Michele, mai del tutto sopraffatto dal senso di colpa che la sopraggiunta morte della turista dovrebbe innescargli. E non per superficialità dell’autore, ma proprio per una piena consapevolezza dello stesso nell’aver disegnato una storia nella quale tutti ci sentiremmo di poter muovere i nostri passi con disinvoltura. Perché il presente di questo romanzo prende forma in un’era geologica fatta di approvazione sui social, di ossessione per la tecnologia, di tag e di slash. Di momenti infinitamente piccoli, sufficienti a decretare il successo condiviso o il fallimento irreversibile di un individuo.

Dopo il suo atto di violenza che lo elegge a mostro della città (pur avendo solo un identikit al quale riferirsi), Michele decide di continuare la sua vita come se nulla fosse accaduto, compiendo azioni che lo fanno perfino sentire meglio: flirta con Morgana, cambia il proprio look, inventa diverse identità virtuali per parlare con la sua compagna e il suo collega Crapanzano, reo di aver scoperto tutto. La sua vita sembra continuare meglio di prima.

Se è vero che qualsiasi paragone con il genio russo corre il rischio di risultare scomodo, l’accostamento dei due personaggi, così diversi e in qualche modo simili, rende l’idea di come l’anima umana possa rispondere ad istinti animali e in un attimo virare la propria esistenza verso rotte inesplorate, capaci di rendere un’altra identità dal nostro io. Di come si ci possa astrarre dalla ragione, e perpetrare un estraniamento da noi stessi e da ciò che siamo sempre stati.

Lazzarotto con A cosa stai pensando a mezzo di una lingua fluida e senza sbavature ci restituisce uno specchio impietoso nel quale ci costringe a guardarci per ciò che siamo diventati. Senza paternalismi, senza inutili moralismi, con uno stile ironico ci mette davanti agli alter ego di noi stessi, calati in una realtà dove i rapporti di coppia si consumano in cene senza lume di candele, ma con mele luminose che distanziano i nostri universi mentali mentre fingiamo di parlarci; dove l’educazione dei figli passa attraverso l’eliminazione graduale di giochi manuali in favore delle tantissime possibilità virtuali forniteci da costosissime tavolette hi-tech.  

Una storia di caduta e di molteplici (apparenti) redenzioni. Dove un moderno Raskòl’nikov vive il delitto con dissidi dell’anima ridotti al minimo, all’interno di una società coeva dove l’amore può nascere in rete, la popolarità è sancita dai mipiace e le identità hanno i contorni sfocati e melliflui di un profilo fake creato per vivere pochi istanti.

A cosa stai pensando arriva come un sampietrino scagliato addosso per ferire. Sembra divertire, sembra esagerare. Ma ci restituisce solo una dimensione riconoscibile nella quale siamo tutti inevitabilmente castigati a rimanere.

Angela Vecchione