Il processo di sviluppo della nuova raccolta di poesie di Franco Arminio, L’infinito senza farci caso. Poesie d’amore, segue la regola inversa dell’evoluzione.

Nato dall’amore del paese, l’intimismo della maturità del poeta si manifesta progressivamente nel passaggio dal paesaggio al corpo, come se dalla paesologia si potesse arrivare alla corpologia.

Il sesso non frequenta
il quartiere a luci rosse,
è una cosa in cui s’inciampa
anche se abbiamo
la sciarpa e il cappotto.
Non c’è bisogno
di spogliarsi.
La festa è desiderare,
è sgretolarsi,
fare entrare l’altro
dagli occhi,
da un fianco, dal buco
di una vocale.

Un inno privato all’amore, alla morte, al sesso che non vede protagonista l’Italia interna delle sue battaglie letterarie e sociali, ma la vita interna, quella che tenta di aprire in tutti i modi a mani nude. Un passaggio dalla geografia all’anatomia come giustificazione della fine di un amore, che mantiene il grado di sacralità della morte.

Arminio nei suoi ultimi anni passa dalla priorità di un albero (Cedi la strada agli alberi, 2017) alla sezione di tronco (Resteranno i canti, 2018) alla foglia di copertina dell’ultimo libro, quasi a mostrare la fragilità e la delicatezza della sua maturità poetica.

Accordare il cuore con le foglie è l’espressione di quella che lui considera una preghiera nella religione dell’amore.
Nel suo baratto letterario la pornografia assume le vesti della dimenticanza della morte, che rimane incredibilmente viva proprio come l’amore. 
Farsi la croce sul cuore è forse quel qualcosa che possa fare da perimetro al suo circolo non vizioso di amore, morte e sesso.

È pur sempre un inno alla vita (bastava essere vivi per essere al mondo) che sembra uscire dal buco di una vocale, un inno alle ferite e all’infinito, cancellando il dualismo (l’uno e il due sono presunzioni) imposto da una società che si ribella al caso.

È bello metterti al centro
della mia vita
senza che ti allontani
dal centro della tua vita.

Graziella Di Grezia