L’amore è incomprensibile, una forma di pazzia
Napoli, 1982. Elba è una ragazzina e vive dalla nascita in un manicomio insieme a sua madre, una donna di origine tedesca, che chiama la Mutti. Passa il tempo a compilare un “Diario dei malanni”, nel quale descrive con i suoi occhi di bambina i sintomi e i trattamenti delle malattie mentali che vede intorno a sé; cerca delle regole che spieghino quel mondo e parla una lingua in rima, per lo più ricalcata sugli slogan pubblicitari della TV di fronte a cui passa il tempo insieme alla Mutti.
Un giorno nel “Mezzomondo” arriva un nuovo medico, “il dottorino”, Fausto Meraviglia. E la vita di entrambi non sarà più la stessa. Sì, perché il dottorino si è messo in testa di liberare Elba e gli altri da quel posto, come la legge Basaglia, di qualche anno prima (1978), effettivamente prevedeva. E non sarà facile, perché il Mezzomondo è pur sempre una casa, un luogo noto e sicuro, per i suoi abitanti, nonostante le pillole e gli elettroshock. Senza contare che, nella relazione pseudo-paterna che Meraviglia instaurerà con Elba, da quel 1982 fino alle soglie del 2020, sarà da lei profondamente messo in crisi e cambiato.
Seguendo la storia privata dei due protagonisti e del microcosmo degli altri personaggi che gravitano loro intorno – gli altri abitanti del Mezzomondo, per lo più donne; i medici e le infermiere; la famiglia borghese di Fausto –, in Grande meraviglia Viola Ardone racconta con estrema abilità l’intreccio di due questioni sociali profondamente rilevanti e di scottante attualità: la questione femminile (molte delle compagne di reclusione di Elba non sono davvero matte, ma semplicemente donne giudicate irregolari per tanti motivi e pertanto escluse dalla “società civile”) e quella della cura della malattia mentale.
Ancora una volta, l’autrice de Il treno dei bambini e di Oliva Denaro, attraverso una lingua leggera e musicale, infarcita di ricorsività icastiche, sa dare voce con estrema delicatezza e al contempo con grande forza narrativa, al mondo degli ultimi: i bambini, le donne, i matti, gli esclusi; quelli che, in fondo, soffrono per mancanza d’amore.
Non solo. Il romanzo di Viola Ardone ci pone di fronte a temi etici tanto più importanti nell’epoca in cui viviamo, che ci vorrebbe tutti omologati e “normali”: la forza conoscitiva della pazzia, pirandellianamente sentita come “una specie di verità” in una vita che, in fondo, è “prigione per tutti”; le virtù terapeutiche della poesia, che forse non è diversa dalla verità, e della libertà, intesa quale “capacità di immaginare la propria salvezza”; su tutti, il valore salvifico dell’amore, una forma di pazzia che spesso ramifica e fruttifica anche quando sembra perduto: “A volte sembra che le cose che amiamo spariscano. E invece fioriscono”.
Maria Consiglia Alvino
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