In occasione degli incontri alla Casa del Quartiere di Torino e alla libreria Campus di Bari, pubblichiamo gli auguri che sono stati scritti e letti da chi ha partecipato. Torino – Bari, maggio 2024

La porta è aperta c’è scritto a Gaeta sull’uscio di casa di Goliarda Sapienza, lei che ha vissuto una vita a mente aperta anzi spalancata e a porte chiuse: la porta chiusa della casa natale sempre piena di gente al punto da preferire la strada o il cinema Mirone, la porta chiusa della scuola  fascista per volontà paterna, la porta chiusa del convento dove gli antifascisti la nascondevano, la porta chiusa del manicomio di sua madre, quella del suo analista, la porta chiusa dell’elettroshock ma chiaramente la porta più chiusa contro cui ha sbattuto tutta la vita è quella delle case editrici insensibili al suo talento, fortuna che lei voleva scrivere innanzi tutto e poi fare la scrittrice.
Invece Goliarda ha vissuto a porta aperta per tante ragioni che chi conosce la sua storia capirà.  La porta è aperta, dicevo. Un po’ rabbrividisco. Quando vivevo a Torino nella mansarda in via Carlo Alberto, nel 2004, dove ho letto per la prima volta L’arte della gioia, la porta era falsamente chiusa nel senso che anche girando le mandate con due spallate si apriva, parlo per esperienza. La porta che sapevo rimanere aperta era una condizione che mi fa sentire leggera e in un certo senso sprigiona affetto per l’universo.
Forse chi ha le porte aperte nella mente poi nella vita non le chiude anche quando pensa di farlo, e racconta molto la storia e la vita di Goliarda Sapienza. Io oggi penso che Goliarda è felice non solo perché ha 100 anni, ma perché tutte le porte le si sono spalancate e sono qui, davanti a lei, sono tutte le persone presenti questa sera, sono tutte le persone che la leggono e la venerano; siamo le porte aperte e mai più chiuse per Goliarda Sapienza.
E allora buon compleanno Goliarda, buon compleanno mamma di Modesta, madre di tutte le persone che non sono state credute e non hanno smesso di credere e lasciano la porta sempre aperta.
Buon compleanno pezzo di vita, pezzo di corpo, donna che scrive.
Buon compleanno braccio, buon compleanno gamba, buon compleanno dita, mani, capelli, occhi.
Buon compleanno cuore antifascista, buon compleanno culo, nella vita ci vuole anche quello, buon compleanno ciglia buon compleanno labbra sottili, buon compleanno denti che si aprono in un sorriso.
Quando la tua voce non arriva a tutti quelli a cui vorresti mostrare cosa hai dentro, a volte tu l’hai chiamato polpo nero, ti senti amputata, buon compleanno anche a tutte le tue amputazioni senza di quelle oggi nemmeno noi saremmo intere.

«Sono caduta tante volte, eppure eccomi qua, in piedi, che ti scrivo. Anzi ultimamente sono venuta alla conclusione che le persone che non cadono, in realtà è perché non stanno in piedi».

Buon compleanno Goliarda, grazie per averci ricordato che non si guarisce da noi stesse, per fortuna.

Alessandra Minervini

Cara Goliarda,
buon compleanno! Mi fa sorridere il pensiero che tu sia la prima festeggiata che fa regali senza riceverli.
Qualche anno fa avevo le idee molto chiare sul mondo e sulla vita; poi sei arrivata tu, hai strappato pagine a caso dai miei quaderni di appunti e mi hai costretta a riscrivere tutto.
Ti ho conosciuta tardi, quando un ammasso di belle parole aveva messo a tacere ciò che tante volte avevo sentito ribollirmi nel sangue; gli occhi di lettori sconosciuti erano fissi nei miei e il loro giudizio e il mio mi paralizzavano.
Il tuo capolavoro mi è stato messo tra le mani da chi aveva capito i miei silenzi e desiderava sciogliere i lacci con cui mi ero legata i polsi per non scrivere mai più: sei arrivata a me con una bambina carnale e indomita, che si masturba e desidera prendere tutto ciò che la vita ha da offrirle. Modesta mi ha tagliato la testa a metà e ha liberato pensieri che fino a quel momento avevo pudore di dire anche a me stessa.
Le tue parole sono carne viva, le hai mondate dalla pelle per permettere a chiunque di suggere la materia pura di cui ogni essere umano è fatto prima di impiastricciarsi di convenzioni. Hai donato il tuo talento a un mondo cieco, con la fiducia che solo i veri puri sanno nutrire e hai chiuso gli occhi senza aver ricevuto nemmeno una briciola di ciò che avevi distribuito. L’hai fatto perché, come mi ha detto una volta la nostra Alessandra, tu sei una donna lavica: il tuo bagliore acceca e distrugge mentre corre a folle velocità verso il mare; la tua natura multiforme di roccia e fuoco proviene dal centro della Terra e, senza avvisare, crea mondi che non esistevano. Ti scrivo dalle pendici di una montagna; da quaggiù sembra impossibile mettere anche un solo passo, ma ho deciso di farlo. Se riuscirò a mettere un piede dopo l’altro senza voltare le spalle verso mete più rassicuranti, sarà merito della tua forza che costantemente rinasce. Fiorisci ancora, Iuzza mia, non smetti mai. Grazie del tuo amore, sono certa che ti arrivi anche il mio, finalmente indomito e vivo.
Bianca Favale

Cara Goliarda, la prima volta che ti ho incontrata ero spaesata, inconsapevole, ma avevo percepito che c’era qualcosa in te che non avevo mai riscontrato in nessun altro scrittore o scrittrice: la potenza delle tue parole, della tua personalità, del tuo essere donna. Mi hai aperto un mondo con la tua Modesta che si è insinuata dentro di me con la sua indipendenza e la sua decisione. Sei per me parole e cinema, sei la macchina da presa che scruta e avvolge le emozioni, sei la lente che le esamina e le porta in superficie. Goliarda sei arte, e spero che tutti ti possano conoscere e amare, tanto quanto ti amo io. Grazie Goliarda e grazie Alessandra per avermela mostrata. Buon compleanno a te Goliarda che resti eterna.
Ilaria Amoruso

Ciao Goliarda, ci siamo incontrate tardi, solo la scorsa estate sotto l’ombrellone, in uno di quei momenti in cui ero immersa a riflettere sul mio corpo che cambia, sull’età che avanza, sui cinquant’anni alle porte con tutto il corollario di frasi fatte che li definiscono: il giro di boa, il tempo di bilanci, la fine dell’età fertile, che è il vero spauracchio quando cresci in un mondo in cui ti hanno inculcato che una volta finita quella, tu smetti di essere donna. Certo, oggi, nel 2024, c’è tutto uno stuolo di star che scrivono di menopausa, ne fanno brand e business. Ma nel 1976, quando finivi di scrivere “L’arte della gioia”, tu eri già avanti. Parlavi dei cinquant’anni come dell’“epoca d’oro”, “epoca forte calunniata dai poeti e dall’anagrafe”, dell’età in cui si scopre “quanta ricchezza c’è nelle oasi serene dell’essere con sé stessi, soli”. C’è un punto in cui Modesta si ritrova a fissare la sua immagine in vetrina e tu scrivi: “Da anni non ha avuto il tempo di guardarsi allo specchio. È invecchiata forse? Forse quella stanchezza non è che il primo sintomo della vecchiaia? In fondo era tempo: ha cinquant’anni. Eccola lì Modesta: i seni più pesanti, le guance piene…ma lei è sempre stata un po’ troppo magra. E i fianchi tondi, le gambe sottili, il busto svelto non hanno l’aria di una signora, piuttosto di una carusa, di una ragazzina invecchiata da un giorno all’altro ma con grazia. (…) E se sorride, le rughe si cancellano d’incanto”. Le tue parole ci aiutano a cambiare lo sguardo sulla vita, a riappropriarci del nostro corpo su cui ancora troppi pretendono di avere l’ultima parola. A deciderne, curarlo, amarlo per essere libere. “Ci tenevo al mio corpo che mi aveva dato tante gioie”, scrivi già nelle prime pagine. L’arte della gioia comincia lì, quando si impara a vivere oltre la testa e le convenzioni, quando si comprende che i brividi, i sussulti, i malesseri, i piaceri del corpo vanno ascoltati, mai messi a tacere. Sentire, oltre che pensare. Non saper dire sì o saper dire no, semplicemente saper essere ciò che si è: più selvatiche, meno addomesticabili. Modesta ci insegna a guardarci allo specchio e a piacerci come chi ama tanto la vita da volerla sfidare con la tua stessa risata, quella che aveva (come disse Guttuso) “l’allegrezza di una fetta d’anguria”. Grazie Goliarda, buon compleanno
Alessandra Lamanna

Ciao Iuzza, tanti auguri carusa tosta. Ti mando gli abbracci dal budello strozzato di via Pistone, dalla soglia che attraversavi, dalla porta che abbiamo spalancato per raccontare la tua storia. Il solco scavato dalla spranga di Maria, le ferite aperte dalla sua spada sanguinano ancora. Tutta la Civita continua ad essere bersaglio di attacchi dai mezzi-catanesi; come ai tempi del fascio e poi della democrazia cristiana, dalle stanze del potere arrivano gli ordini di chiudere via Buda. Tuttavia, ogni tre lune, quel diavolone dell’architetto Vaccarini sistema i corpi e le maschere, le pietre e le strade. Difendiamo per te ogni basso e ogni vicolo; fino all’ultimo colpo di tacco sul teatrino di Nino Insanguine.  Buon Compleanno, Iuzza; carusa tosta. 
Cono Cinquemani

EDUCAZIONE ALLA FELICITÀ
Con una leggera fatica ho messo insieme questo biglietto d’auguri. Nel mio lavoro, nell’editoria, prediligo stare dietro le quinte e prendermi cura delle parole degli e delle altre.Ringrazio, con stima, Alessandra Minervini, e lo spazio di exlibris20, per aver dato vita a questo incontro, e per aver ideato una serie di iniziative dedicate a Goliarda Sapienza. Per aver creato insomma una comunità, che oggi si ritrova qui e continuerà a farlo nei prossimi mesi.Un riferimento all’educazione alla felicità è posto proprio nell’invito a prendere parte a questa festa per Goliarda Sapienza. E per scrivere questo breve biglietto di auguri, e di ringraziamento a Goliarda Sapienza, mi sono soffermata su che cosa significhi vivere una vita secondo i propri desideri e alla ricerca di una possibile, tra le tante, felicità.
Perché trovo che questa sia alla fine la traccia, la linea che emerge chiara, come una corrente che affiora in superfice, nel romanzo L’arte della gioia.
E quindi grazie Goliarda Sapienza per avermi regalato questa che ho trasformato in una domanda: Come si ascolta il proprio desiderio? Come si insegna la felicità?
Due frasi che per me sono un’unica domanda, che non ha mai una risposta, una soluzione. E il suo valore sta tutto lì, nel fatto che ci prendiamo l’impegno ogni giorno di chiedercelo.
Grazie. Torino 12 maggio 2024
Alessandra Papa

Cara Goliarda, 
ti ho conosciuta solo nel 2023, e avrei tanto voluto che fosse accaduto prima. Qualcuno forse pensa che la letteratura sia solo un passatempo. E in effetti a leggere si passa bene il tempo, talvolta.
A dire il vero a me spesso fa l’effetto di un terremoto, sposta i cardini del mondo, offre sguardi, possibilità.
Io sono sempre in ritardo, arrivo lento, e certe volte ho bisogno di qualche scossa forte.
Tu, tra tutte le scosse, sei stata una sorta di Big One, come quella che tutti aspettano in California.
Ti dirò, poi ricomporre tutto non è sempre agevole, ma ti ringrazio lo stesso. Anzi, ti ringrazio di più: grazie a te il mio sguardo sul desiderio e su ciò che è morale si è liberato degli ultimi pesi della mia infanzia e adolescenza siciliane. E qui non c’è bisogno che ti spieghi niente. Ci siamo capiti.
Tanti auguri,
Antonio Castagna

Auguri Goliarda. Ti ho conosciuta in un periodo in cui leggevo solo racconti. Mi colpì il titolo di una tua raccolta, Destino Coatto, e poi ancora il tuo nome: così fiero, insolito, vitale. Le tue storie mi ricordavano quelle di Grace Paley, di Agota Kristof, la voce ruvida e insolente, l’andamento sempre nuovo, inafferrabile, irriducibile – storie libere, folli, tempestose. Come per le scrittrici a cui mi parevi assomigliare, sei una delle poche, una dei pochi autori per cui ho sentito la necessità di informarmi sulla vita personale, di squarciare quel velo di mistero che solitamente amo tenere, per non ricevere delusioni. Ma tu non avresti potuto deludere nessuno: eri come il tuo nome, come le tue storie. Anarchica, orgogliosa, tenace, nemica di ogni forma di potere. L’arte della gioia mi ha accompagnato in un’estate immobile e opprimente, regalandomi speranza e fiducia, ispirandomi nella scrittura e nella vita. 
Ti scrivo un biglietto breve: immagino di farlo su un post it anziché su lettere o cartoline, come è tradizione, ormai da anni, tra me e la mia migliore amica. Anche se poi non so mai calibrare spazio e parole, e le lettere finiscono per ammassarsi, infilarsi una sopra all’altra, illeggibili. Penso di consegnare questo post it disordinato ma pieno di affetto a te, che amavi la schiettezza e la mancanza di formalità. Buon compleanno dal futuro, Goliarda, a te che nel futuro sei sempre stata.
Francesca Manfredi

Buon compleanno Goliarda
Ante Scriptum: Sono seduta al grande tavolo bianco con mio figlio Claudio, che quest’anno affronterà gli esami di terza media. Io cerco di scrivere i miei auguri per i cento anni dalla nascita di Goliarda Sapienza e lui sta ripassando alcuni appunti e mi chiede quanti scrittori italiani hanno vinto il premio Nobel per la Letteratura. Inizia ad elencarne alcuni: Giosuè Carducci nel 1906, Luigi Pirandello nel 1934 e Salvatore Quasimodo nel 1959… “E manca una scrittrice tra Pirandello a Quasimodo (poi seguiranno Montale e Fo)” gli dico pensando a Grazia Deledda.

“Ah… no… noi le scrittici non le studiamo”.

Cerchiamo di partire da questo dato e chiederci che Letteratura italiana stiamo lasciando in eredità alle nuove generazioni. Noi intanto facciamo la nostra parte. In nome di Goliarda. Di Grazia Deledda che vinse il Nobel nel 1926, ma anche di Annamaria Ortese, Fausta Cialente, Mariateresa Di Lascia, Anna Banti, Oriana Fallaci, Fabrizia Ramondino…

“Le donne sono il mio pianeta e la mia ricerca Il mio unico pianeta”

Cara Goliarda, Sei riuscita a parlarci di tutto: di amore e di politica, di giustizia, di nostalgia e di paure e soprattutto del cuore delle donne, delle sue tacite contraddizioni e dei suoi desideri più profondi. Cento anni fa venivi al mondo, tra una banda di fratelli e sorelle, figlia desiderata di Maria Giudice, prima dirigente donna della Camera del lavoro di Torino e di Giuseppe Sapienza, socialista, soprannominato l’avvocato dei poveri. Da bambina ti lanciavi dall’alto muro di una terrazza con un ombrello, come fosse un paracadute e hai avuto il ciclo per la prima volta durante una scalata sulle cime dell’Etna. Nel corso dell’occupazione tedesca sei stata partigiana a Roma, nascosta da Silvio D’Amico, direttore dell’Accademia d’Arte drammatica, in un convento di suore francesi: ti calavi dalla finestra e a sera ti univi alla Brigata Vespri, fondata da tuo padre. La Goliarda spregiudicata e idealista che mi seduce in questi aneddoti è quella che mi ha chiamata nel tuo grande romanzo postumo, “L’arte della gioia”, che ho visto per la prima volta a Roma, un pomeriggio di primavera, tra le mani di un’altra compagna di Storie, case editrici, uffici stampa.
Ho ritrovato poi quel libro come “dieta” fondamentale nei pomeriggi invernali a Casa di Scrittura, da Alessandra. La tua Modesta era quello che fino ad allora mancava nella letteratura italiana: una protagonista femminile in cui anche un lettore e non solo una lettrice avrebbe potuto identificarsi. Romanzi, racconti, diari… attraversando il tuo mondo ho illuminato parte del mio. Soprattutto quello in cui racconti di te bambina che già cova il grande dono della scrittura e che mi ha insegnato come la narrazione si nutra sia della pratica quotidiana, sia della scelta, di tutti gli aneliti di libertà. E di identità. Tu Goliarda (come alcune autrici-streghe che compongono la mia personale mappa narrativa di segni e simboli, frasi indelebili) hai avuto nella mia vita diverse apparizioni e forme in legami che poi, si sono solidificati nel tempo. Fili di acciaio ricoperti di velluto, così come a tratti, si rivela la tua scrittura.
Che è avanti. Non invecchia. Come te. Auguri Goliarda
Tua devota
Antonella De Biasi

Ti ho conosciuta a 27 anni, mentre sollevavo campane di vetro in compagnia di un paio di filosofi e mezzo Sudamerica; mi hai convinta che da quel preciso momento avrei potuto spaccare il mondo; oggi, che a 53 anni ho capito qualche cosa in più, e soprattutto che si può vivere tra le pieghe di un mondo ancora tutto intero, continuo a dirti grazie, perché ho conservato, almeno, sempre e comunque, la dignità dell’onestà.
E intendo l’onestà con me stessa, l’ultima purezza tra tutte quelle che orgogliosamente non ho mai avuto. Sono stata con te e per te Modesta, cospiratrice, passionale, radicata e sradicante, senza nessuno da perdonare perché non volevo essere perdonata da nessuno. La tua lezione è durata trent’anni e dura ancora. È iniziata con la consapevolezza che qualsiasi cosa mi sarebbe accaduta, mi sarebbero rimaste sempre e comunque le parole, nero su bianco, non le avrei perdute più, erano mie, sono mie e lo saranno. Il male che rifuggo sta nelle parole che fissiamo in un solo significato, snaturandole; tu sei accurata, la cura è la sopravvivenza, la precisione cesella il mondo intorno, per questo è importante scegliere i significati giusti di ogni singola lettera, perché altrimenti ci si condanna alla menzogna, quella vera, non certo gli svenimenti ad arte o le trame machiavelliche che tanto mi hanno fatto sorridere, di te. Solo le parole possono mentire, ed è un pericolo molto grande: anche la parola vecchiaia mente, “è stata rimpinzata di fantasmi paurosi che riemergono dai nostri passati”, che ci ricordano sempre tutto mentre tu invece conosci la nostra lotta quotidiana per dimenticare. Anche la parola amore mente: noi “ci siamo innamorate tutte le volte che è stato necessario”, perché è solo così che si possono vivere amori eterni. Cara Modesta, adesso vorrei che fosse mia figlia a leggerti, che la educassi a un’idea dell’amore che non sia proprietà esclusiva di corpi e di vite, e che sia la bellezza della temporaneità; vorrei che ti leggesse per imparare l’abbandono, che tutto ha valore anche per quel che è durato.
Vorrei che sapesse che è solo l’onestà a renderci affidabili, e l’affidabilità è molto più preziosa della fedeltà. Poiché è sempre più importante esserci che restare.
Aggrappata al sorriso sfrontato che mi hai insegnato, ho vissuto di meraviglia anche nella tragedia e finalmente so che la vecchiaia non esiste se rubiamo alla morte tutta la vita possibile, se coltiviamo questo senso profondo di libertà che è un’arte, della gioia, appunto.
Emma Cannavale

Cara Goliarda,
per me oggi è il compleanno di una parente. Per me, è parente chi condivide alcune caratteristiche che Zola avrebbe chiamato “tare famigliari” che si trasmettono di generazione in generazione determinando il corso delle esistenze. Nel caso nostro e di molti di quelli che sono qui stasera a festeggiare il tuo compleanno, è la smania di scrivere, che a volte percepisco come una follia, un bisogno, tipo l’alcolismo. C’è qualcuno che ha nel sangue l’impulso che ha condotto te a impiegare anni e anni e senza risorse economiche nella scrittura di un romanzo come “L’arte della gioia”, che nessuno ti aveva commissionato e di cui non hai mai potuto vedere la pubblicazione. Innumerevoli lettere di rifiuto, silenzi. Sei morta e il tuo romanzo è rimasto vent’anni nella cassapanca di tuo marito, che infine l’ha pubblicato a sue spese con Stampa Alternativa. Angelo Pellegrino scrive: “Era il 1998. Numerosi critici e scrittori lo ricevettero. Passò sotto silenzio. Ricordo che entravo tutti i giorni in una libreria Feltrinelli che teneva due copie del romanzo dietro a altri libri su una scansia in alto nascosta da una colonna. Mi dicevo tutte le volte: ma chi dovrebbe comprarlo. Un giorno notai che mancava una copia. Non so che avrei dato per sapere l’identità di quell’unico compratore. Dopo qualche tempo sparì anche l’altra.” È stata mia figlia a ricordarmi questo passaggio della prefazione all’edizione di Einaudi del 2008, diciassette anni, lettrice appassionata di romanzi non perché io l’abbia spinta a farlo, anzi, ma perché ne ha sentito il bisogno fin da quando ha imparato a scrivere e leggere e invertiva le lettere. Quando le ho dato in mano l’arte della gioia aveva 14 anni ed era rimasta un po’ delusa da un romanzo che la professoressa le aveva dato da leggere a scuola, le ho detto: “ascolta, leggi questo”. Non l’ha più lasciato da allora. Quella copia è stata trasportata in mille viaggi, bagnata di acqua salata, sporcata di terra. Giaceva sempre appoggiata per terra davanti al suo letto. Ultimamente le ho confidato le mie preoccupazioni riguardo al mio ultimo romanzo, i rifiuti, la paura, i silenzi, la solitudine. Lei mi ha detto: “mamma ricordati della storia di Goliarda, basta una copia che sparisce”. Il tuo romanzo è stato più forte del tempo che ti è stato dato. E la tua famiglia è qui, oggi, a festeggiarti.
Chiara Dotta