Il nuovo romanzo di Sandro Campani, Il giro del miele (Einaudi, 2017), ambientato in un paese dell’appennino modenese, si apre con l’immagine potente del fuoco.

Il fuoco lo troviamo nel sogno che fa Giampiero, uno dei due protagonisti del romanzo. Ma anche fuori, poiché Giampiero si è assopito davanti al caminetto acceso. Nel sogno, un fuoco – ben diverso da quello addomesticato del caminetto – ha avvolto alcune capanne. In questa prima scena troviamo un doppio filo che correrà per tutto il romanzo: il fuoco, al pari dei rapporti umani, può essere sia distruttivo sia accogliente.

Alle immagini del sogno si mescolano dei rumori che provengono da fuori: forse qualcuno che bussa, forse no; poi il campanello suona e Giampiero va ad aprire. Alla porta c’è Davide. È il figlio di Uliano, il proprietario della falegnameria nella quale Giampiero ha lavorato per tutta la vita, prima di arrivare a rilevarla insieme a un socio. È da molto tempo che non si vedono. Davide ha cercato la propria strada al largo dalla falegnameria, e da suo padre, dal quale non si è mai sentito riconosciuto come un erede, come qualcuno capace di portare avanti l’attività di famiglia; questo ruolo è toccato a Giampiero. Nasce forse da qui quel senso di mancanza che lo ha portato a cercare un completamento in lavori diversi e in un matrimonio, adesso finito, con Silvia. Davide era riuscito a costruire un proprio mondo lontano da suo padre, inventandosi apicoltore, sposando la persona che aveva amato fin dall’infanzia, e poi, quel mondo, lo aveva pian piano cominciato a rovinare.

Il romanzo ci parla in maniera potente e mirabile di questa caduta, di come la felicità sia necessaria ma fragile. Poiché Giampiero è rimasto in contatto con Silvia, Davide gli chiede di consegnarle una lettera. E poi vuole parlare, vuole raccontare la sua versione dei fatti su come sono andate le cose tra lui e Silvia.

Inizia un lungo dialogo, davanti a una bottiglia di grappa, che va avanti per tutta la notte. Si svelano frase dopo frase i particolari di una storia forte che il lettore scopre attraverso la voce di Giampiero. Una voce amichevole che assume spesso il punto di vista degli altri personaggi, nei confronti dei quali ha un rispetto e una pietà commoventi. La lingua è precisa, avvolgente e colloquiale; incorpora di tanto in tanto, oltre a singoli elementi lessicali, anche aspetti sintattici dialettali che ne fanno una lingua nuova, personalissima. Una lince appare di tanto in tanto nella narrazione: un ricordo o una testimonianza fugace di qualcuno. Poi sparisce, lasciando un senso di mistero e di inquietudine che inquina il racconto nel quale eravamo immersi. Da dove veniva fuori? E perché?

È un’apparizione apparentemente inspiegabile che assomiglia tanto a quegli elementi neri, profondi e insondabili che si trovano dentro l’animo umano.

Carmelo Vetrano

 

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