Con una lingua fisica, densa e precisa, nel romanzo Nudi come siamo stati (Marsilio, 2017), Ivano Porpora  racconta del rapporto tra il pittore Severo e il suo maestro Arsène, artista di fama internazionale. Tutto è intenso, caldo, perfino troppo, senza mai un rigo in cui la temperatura rischi di abbassarsi. La storia è ambientata tra l’Italia e la Francia (Viadana e Collobrières, soprattutto, i poli geografici di riferimento) ed è composta di tre parti, progressivamente sempre più corte. Nella prima parte avviene l’incontro tra Severo e Arsène, che sceglie il primo come allievo; nella seconda e nella terza scopriremo la storia di Arsène e dei suoi segreti.

Ma i rapporti umani dei protagonisti non sono solo questi: della vita di Severo fanno parte anche Anita, la sua compagna, e il padre, con il quale Severo ha solo un rapporto epistolare, benché vivano entrambi all’interno dello stesso edificio. Di Arsène conosceremo i componenti della sua famiglia di origine; in particolare il fratello Bastien, che sarà determinante per lui e per la storia che leggiamo. I temi che emergono sono tanti: l’assenza, il dolore, la colpa,  l’incomunicabilità, la paternità, il destino, l’amore, il sesso, il perdono, le partenze e i ritorni, le scelte, la fede.

È l’arte a tenere tutto unito.

Due uomini si incontrano su un terreno comune, quello della pittura, per andare al centro di se stessi, per provare a raggiungere quella nudità evocata dal titolo. Il loro rapporto non è caratterizzato dalla sterile trasmissione di un sapere, ma da una forte tensione, anche fisica, che spinge a mettere in discussione le basi di una vocazione, e quindi del proprio stare al mondo. Non si tratta di fare arte come si potrebbe fare un mestiere, ma di farla perché non si può vivere diversamente. Si può cadere, col rischio di non rialzarsi più, dopo un confronto di questo genere, e non è casuale che il rapporto tra i due pittori abbia sempre qualcosa di molto fisico, con rituali simili a quelli di una lotta, dove lo spogliarsi è reale e simbolico al tempo stesso.

Più si va avanti in questa lotta-dialogo più le domande diventano semplici e disarmanti («Perché dipingi?», chiede più volte Arsène a Severo. «Perché sei qui?»). La pittura diventa non un semplice strumento di comunicazione, ma un tentativo di costruzione della propria identità e di purificazione delle proprie colpe; d’altronde Severo dichiara che non vuole diventare un’artista, e Arsène ha la caratteristica di non completare le sue opere. Pagina dopo pagina la scrittura espande le scene entrando non solo nella carne ma anche nelle ossessioni dei protagonisti. C’è un rischio per l’uomo, sembra dirci l’autore, che è quello dell’indifferenza nei confronti della vita propria e altrui, e l’unico modo per scongiurarlo è capire esattamente chi siamo.

Carmelo Vetrano

 

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