Si guarda le unghie, lo fa quando è nervoso, credo, perché io non lo conosco. Ci conosciamo davvero, papà? domando al padre immaginario che ho inventato per me stessa. Avremo mai modo di conoscerci come vorrei? Eppure ti amo, ti amo così tanto.

Il grande me (Fazi Editore, settembre 2020) è una storia di dolore, forte e cruda, che parla al lettore con la voce della realtà, senza incanti e spoglia di illusioni.

Simone è un padre poco più che sessantenne al quale è stato diagnosticato un tumore in stadio avanzato.

I tre figli lo raggiungono a Milano e Carla, in particolare, inizia una lotta contro la sfera temporale per recuperare i giorni lontani.

Quel dannato “lo faremo dopo” che si sgretola quando il dopo sembra non poter esistere più.

Vita e morte, lucidità e follia, l’essere padri e l’essere figli: vale tutto, e tutto insieme, in una inscindibile giostra emotiva che ti prende e non ti lascia.

Mi sciacquo il viso, che di tempo per piangere ne avrò, ma quello che mi resta per rendergli lieve ogni suo giorno, è poco. Difficile rasserenarsi ora che tutta la tristezza raccolta mi sta premendo addosso, e quando si è molto tristi, a volte, si ha voglia di essere ancora più tristi, di piangere a volto scoperto, di mostrare a tutti il proprio dolore, «Guardate come soffro, io piango!». Quasi vorrei uscire dal bagno così, con le guance nere di trucco colato, il naso arrossato e gli occhi piccoli e gonfi (Dio, quanto sono brutta), abbracciarlo, posargli la testa sulla pancia e chiedergli: «Perché muori, papà?», sperando che lui, carezzandomi la testa, mi rassicuri: «Qui non muore proprio nessuno, bimba, io no di certo».

Mentre la malattia galoppa in modo inesorabile, Simone ripercorre la sua vita a partire dall’infanzia in Sicilia e dal gioioso rapporto con la madre, la passione per la musica e la sua indole forte e istrionica. C’è la malinconia per il passato, la disperazione per un futuro dalle ore contate, il desiderio di recuperare e colmare i vuoti con canzoni, letture ad alta voce, pensieri e brani suonati al pianoforte. C’è anche un mistero. C’è tutto.

Il tempo.

Ogni volta che leggo un libro così intenso e vero, mi interrogo su come io lo stia vivendo.

E so già che la risposta comunque è sbagliata, sarà sbagliata, qualunque essa sia.

È così incerto, per natura. Variabile. Instabile. Dannato.

Eppure abbiamo solo questo, di tempo. Che ci piaccia o no.

Sai, bimba, quando cantavo ero giovane e ancora pieno di occasioni, confondevo i sogni con il futuro, avrei potuto imboccare ogni strada, anche sbagliata, senza per questo dovermene pentire. Non credevo, allora, che l’esistenza fosse proprio quella che stavo vivendo nell’attesa che accadesse qualcos’altro.

Natalia Ceravolo