Una vita può bastare.

«Lo scirocco è uno dei momenti più belli che possano essere concessi all’uomo, in quanto l’incapacità di movimento in quei giorni ti porta a stare immobile a contemplare una pietra per tre ore, prima che arrivi un venticello. Lo scirocco ti dà questa possibilità di contemplazione, di ragionare sopra alle cose, anche se è un po’ difficile, in quelle circostanze, sviluppare il pensiero che è un po’ “ammataffato”, collosa, come la pasta quando scuoce.»

È un giorno caldo oggi, di quel primo vero caldo che l’estate ti sbatte in faccia.

Che prima ti ha illuso, mantenendo la pioggia, bagnandoti i piedi, facendoti maledire e urlare “ma quando cazzo arrivi eh?” e poi sbaaam.

Non ho ancora capito se le cose sbaaam mi piacciano o no.

Certo da un lato la sorpresa, per carità.

Il restare a bocca aperta, l’emozione dell’inaspettato.

Capire di riuscire a meravigliarsi ancora, nonostante tutto.

Bella la sorpresa.

Dall’altro però neppure il tempo di trovarsi una panchina all’ombra, ecco.

Un gelato, una fontana.

Un fazzoletto.  

Un segnalibro, per segnare lì le cose, le parole e le persone e non scordarsele mai più.

«La collina di marna candida a strapiombo sul mare, appena fuori paese, era chiamata “Scala dei turchi” perché pare che nell’antichità i pirati saraceni vi facessero fermata, in attesa del vento a favore per le loro scorrerie scappa e fuggi: ancora oggi, ogni tanto, affioravano fra le rughe della marna pezzi di ferro, chiodi e pallettoni mangiati dalla ruggine, resti di vecchie battaglie».
(Il corso delle cose, edito da Lalli nel 1978, e poi da Sellerio nel 1998).

Chissà quante parole diciamo in una vita, una vita intera.

Da quando iniziamo con ma-mmma, pa-ppà,e via via un crescendo di r mancanti, s saltate, a che rimpiazzano il resto.

Chissà quante ne tacciamo di cose da dire.

E scrivere poi, quella dote di pochi, millantata da troppi, ma così rara e preziosa e tremenda, da sviscerarti gli interni e non colmarti mai abbastanza le notti.

«Commissario, lei u sapi megliu di mia, se uno non trova ventu a favuri, nun naviga». (La forma dell’acqua, Sellerio, 1994).

Quelle frasi perfette, precise, così nitide in bianco e nero e così feroci da ascoltare davanti a uno schermo.

Non basta una vita per persone così.

Non basta a tal punto che lui conscio, ne ha vissute tre o quattordici, tutte insieme.

La Sicilia, le partenze, la regia, la RAI che dapprima non lo vuole perché comunista, poi invece meglio di sì.

Una moglie, tre figlie, quattro nipoti.

E chissà quanti numeri di righe, quante cartelle, quanti fogli strappati e maledetti.

Io non lo so di certo.

«Il vecchio si stava godendo un sonno sereno, il respiro lèggio, l’ariata distesa, calma. Viaggiava nel paese del sonno senza più ingombro di bagaglio. Poteva dormire a lungo, tanto sul comodino c’erano il portafoglio coi soldi e un bicchiere d’acqua. Si ricordò del cane di peluche che aveva comprato a Livia a Pantelleria. Lo trovò sopra il comò, nascosto dietro una scatola. Lo pigliò, lo mise a terra, ai piedi del letto. Poi chiuse adascio adascio la porta alle sue spalle». (Il cane di terracotta, Sellerio editore, 1996).

Miscelare il silenzio alle cose necessarie.

Gli arancini al digiuno.

Il mare alla città.

Il tutto al niente.

Calpestare la stessa terra di eroi e di stronzi, di sagaci e di minchioni.

La rabbia alla delizia.

Le sigarette alla tosse.

Essere e non essere insieme.

«Insomma ci sono uomini di qualità che, messi in certi posti, risultano inadatti proprio per le loro qualità all’occhi di gente che qualità non ne ha, ma in compenso fa politica». (La prima indagine di Montalbano, Oscar bestsellers Arnoldo Mondadori Editore, novembre 2005).

Ci sono cose preziose per cui non basta tutto il conio del mondo.

Ci sono momenti che nessun selfie ti farà rivivere col brivido e il sale.

Ci sono persone, ecco, che già mentre tu parli hanno sicuramente pensato già altre cose, scritto altri macigni, cambiato forma e creato con l’assenza.

Quelli che non muoiono mai, perché per alcuni sicuramente sì, una vita può bastare.

«Confesso, con Neruda, che ho vissuto. Ma mi corre l’obbligo di confessare anche che, alla mia veneranda età, molte delle cose per le quali ho vissuto mi appaiono come fatte da una persona che aveva il mio nome, le mie fattezze, ma che sostanzialmente non ero io». (da Segnali di fumo, Utet, 2014)

Natalia Ceravolo