Incontrare questo libro è come immergersi nell’acqua: permea, avvolge, confonde, conforta, trasporta.
Non si può nominarne protagonista, perché è attraverso il suo essere una e molte donne che la narrazione si dipana.
È la storia di una ricerca al femminile, di identità e di ricordo; una storia di ferite da rimarginare, di nomi urlati e di altri che non si possono pronunciare.
I diversi capitoli che compongono il romanzo scorrono trasportando il lettore attraverso luoghi e vite, tutti diversi e tutti legati fra loro da un filo invisibile che pian piano dipana la storia. Il ritmo della narrazione è ipnotico, un po’ come numeri di funamboli e circensi che abitano alcune delle pagine. Senza fermarsi, che il circo è così.
E quindi in giro per l’Europa ci troviamo trasportati a Berlino, Parigi, Barcellona, a guardare il mare di Nizza, Venezia, Palermo…
In ogni luogo una donna e un nome. Una identità nuova, una storia senza radici. Che non mette radici.
Si dice che abitino tutte nello stesso condominio, in realtà, talora sorelle eppure estranee.
Incontrano un uomo, paziente e libero, che non ha bisogno di nomi o di luoghi, che nemmeno lui ne ha. E con la pazienza del disincanto, l’incontro permette di bussare alle porte di quella strana abitazione, di risvegliare le molte voci, di andare a cercare l’unica il cui nome non era stato più pronunciato da quando l’acqua – appunto, l’acqua – l’aveva portata via.
E così questa donna che è molte donne cammina a ritroso verso Genova, verso quella famiglia murata nel silenzio di un dolore antico a chiedere parole, ricordare luoghi e momenti, dire quel nome, trovare lei. E trovare pace.
Leggendo, in alcuni passaggi sembrerebbe la storia di una follia che si manifesta e che trova pace solo nella relazione, di molte identità in una persona sola. A me piace riconoscere la complessità della persona, quella che ci permette di cambiare nome e vita e città, anche solo per un periodo: dividerci in pezzi unici per tornare ad esserne uno solo.
E non importa se non ha un nome.
Elena Cappai
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