“I grandi non capiscono mai niente da soli e i bambini si stancano a spiegargli tutto ogni volta.”

Sono sempre stata convinta che il Piccolo Principe fosse un libro fanciullesco per adulti. La prima volta che l’ho letto avevo otto anni, frequentavo le scuole elementari ed ero stata colpita dalla bellezza di quel Principe, dalla sua dolcezza e profondità, dalla sua amica rosa e dalla sua volpe (che avrei voluto a casa con me). Ma non avevo colto veramente ciò che Antoine de Saint-Exupéry volesse raccontare. Perché i grandi non capiscono mai niente da soli? Non mi era per nulla chiaro, mi sfuggiva qualcosa.

Quando a venti, e poi a venticinque l’ho riletto, avevo una prospettiva del tutto diversa, riuscivo a vedere alcune cose e ne avevo perse delle altre.

Per un bambino di otto anni, certi comportamenti di quel biondo Principe legati a una rosa o a una pecora sono del tutto normali, per un adulto sono incomprensibili. Alcuni perdono la capacità di vedere dei bambini. Ci si dimentica di essere stati piccoli e ci si ricorda solo di ciò che si è. I ragazzi hanno dentro di loro la potenzialità dell’immaginazione che pian piano si affievolisce crescendo. Saint-Exupéry ha ricordato di essere stato un piccolo uomo, e lo ha raccontato attraverso la sua voce bambina. È tutta una questione di punto di vista: l’autore ha focalizzato il suo sguardo su un ragazzino e lo ha mantenuto, regalandoci le sue aspettative, le sue opinioni, le sue sofferenze, le sue gioie.

Allo stesso modo, Mark Osborne, il regista della pellicola animata Le petit prince del 2015, ha spostato il punto di vista su una bambina, la protagonista, così da mostrarci il Piccolo Principe attraverso i suoi occhi.

L’autore ha voluto dare la possibilità a noi adulti di non dimenticare. E soprattutto di riprovare a guardare il mondo con occhi diversi.

“Certo”, disse la volpe, “Tu, fino a ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo.”

Un pilota di aerei precipitato nel Sahara, col motore in avaria, incontra inaspettatamente un bambino che gli chiede di disegnarli una pecora. Quel bambino viene da un altro pianeta, l’asteroide B612, dove vi sono soltanto tre vulcani di cui uno inattivo ed una rosa. Il Piccolo Principe ha lasciato il suo pianeta e viaggiando per lo spazio, prima di arrivare sulla Terra, ha incontrato numerosi adulti molto strani, un vecchio re che dà ordini ai suoi sudditi anche se non ne ha, un geografo che non ha esploratori da mandare in giro per il mondo e rimane alla sua scrivania, un ubriacone che beve per la vergogna di bere e tanti altri.

Ognuno dei personaggi che il nostro Principe ha scoperto sono per Saint-Exupéry un modo per dimostrare come siamo, come appariamo ai bambini e soprattutto quanto ci ostiniamo per briciole così futili rovinandoci l’esistenza. Ogni personaggio rappresenta una metafora della condizione umana. C’è chi si ostina a rimanere arroccato nella sua posizione e non riesce a vedere cosa gli accade attorno, ciò che si sta perdendo, cosa sta permettendo. Preferiamo vivere nella nostra zona comoda dove nulla può scalfirci. C’è chi rimane intrappolato dall’abitudine degli eventi e della vita, incapace di spezzare la catena. C’è chi dedica la sua intera esistenza al lavoro (l’uomo dei lampioni) e non riesce a muoversi oltre la soglia, per ammirare e godere delle piccole gioie. Ogni personaggio di Saint-Exupéry è specchio dell’uomo del suo tempo. Un’epoca che ancora oggi si può ben riflettere nella nostra.

Nella pellicola cinematografica la piccola protagonista è costretta a seguire una ferrea e soffocante tabella di marcia per recuperare lo studio e riuscire ad entrare in un scuola prestigiosa. La madre, donna in carriera, le ha costruito il suo programma giornaliero per più di un anno, costringendola a rinchiudersi in casa e a poter badare solo ai libri. La piccola però incontra il suo vicino di casa, un vecchio aviatore, che le racconta la storia del Piccolo Principe. L’aviatore dimostra anche qui, di non aver dimenticato il bambino dentro di sé, ma di averlo abbracciato e coltivato come una parte della sua personalità. Fra i due infatti si stringerà una forte amicizia.

La madre della ragazza rappresenta in tutto e per tutto l’uomo moderno adulto, dedito al lavoro e annichilito, che ha azzerato le prospettive e i desideri, e ha dimenticato la spensieratezza. E vuole trasferire il suo modo di vivere a sua figlia, tappando la sua immaginazione e la sua voglia di vivere. La bambina trova però il modo di ribellarsi, come qualsiasi altro bambino e di sfidare i sogni per poter raggiungere quel bellissimo Principe ed aiutarlo a ricongiungersi con la sua rosa.

Il finale del film stravolge la favola dell’autore francese, andando ad aggiungere un viaggio immaginario della bambina col Principe in un’ottica di un pubblico più fanciullesco che adulto. Gradevole nella sua complessità, addolcisce però la conclusione del libro. Saint-Exupéry ci lascia affranti e feriti, ricordandoci le nostre complesse fragilità umane. Il Piccolo Principe diventa la nostra stella, il nostro piccolo saggio ometto che è riuscito a ribaltare il cuore di un uomo stanco.

“Addio”, disse la volpe. “Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”.
L’essenziale è invisibile agli occhi”, ripeté il piccolo principe, per ricordarselo.
È il tempo che tu hai perduto per la tua rosa, che ha fatto la tua rosa così importante”.
“È il tempo che ho perduto per la mia rosa…”, sussurrò il piccolo principe per ricordarselo.
“Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa…”.
“Io sono responsabile della mia rosa…”, ripeté il piccolo principe per ricordarselo.

La responsabilità dei sentimenti, la delicatezza e la forza, il dolore, ci vengono raccontati attraverso la bellezza delle parole di un piccolo Principe, un bambino che con la sua sincerità riesce a scardinare le solide radici di un uomo. Antoine de Saint-Exupéry ha scolpito ogni singola parola con una sua forza e un suo profondo significato. Per quanto un film ben scritto possa farcene rivivere la storia, in questo caso, è il romanzo che detiene la vera potenza della narrazione e del suo messaggio.

Una storia che continua ad essere per noi adulti un insegnamento, un monito all’oscuramento delle nostre esistenze, all’alienazione della coscienze. La vita non è solo lavoro o soldi, è anche sentire, provare, accarezzare, soffrire, godere, sognare. Smettere di farlo equivale ad annientare la vita stessa. Che purtroppo rimane una sola. E allora non ci resta che ritornare a guardare il mondo con gli occhi di un bambino.

“Guardate il cielo e domandatevi: la pecora ha mangiato o non ha mangiato il fiore? E vedrete che tutto cambia… Ma i grandi non capiranno mai che questo abbia tanta importanza.”

Ilaria Amoruso