Quando finalmente pubblica Le peintre de la vie moderne, Baudelaire ha trentotto anni, è già malato di sifilide ed è pieno di debiti. Eppure è un periodo di euforia creativa. Una strana euforia che in fondo gli viene da tutto quello che è accaduto dopo l’uscita di Les fleurs du mal. L’opera era stata messa sotto sequestro per offesa alla morale. In questo momento in cui Baudelaire sembra quasi succhiare energia dallo scandalo, escono Le peintre de la vie moderne, altri scritti di critica e le poesie sparse che confluiranno nello Spleen de Paris. Poi arriverà la caduta, il peggioramento della malattia, la partenza per Bruxelles, città detestata per il suo provincialismo rispetto a Parigi, e la morte.

Le peintre de la vie moderne fu ispirato e scritto seguendo le opere pittoriche o piuttosto il modo di fare pittura di Constantin Guys, un pittore minore, amico di flaneries notturne. Baudelaire era rimasto colpito dai bozzetti veloci che Guys, che era stato illustratore di guerra in Crimea, proprio l’attimo prima che quest’arte fosse soppiantata dalla fotografia, realizzava nelle notti parigine, catturando la vita moderna: quella scia che lasciano o che piuttosto sospinge noi spiriti erranti e spatriati (Le spleen). Che in fondo era quello che faceva da sempre Baudelaire, l’autore di Les Passants. Le poesie di Baudelaire sono allucinazioni che rimandano a disegni, stampe, opere pittoriche a loro volta allucinatorie ed allegoriche (come analizza Walter Benjamin). Constantin Guys non era Manet, era un artista abbastanza sconosciuto, troppo forse per farne un simbolo della modernità. Ma probabilmente Baudelaire aveva visto in quell’essere pittore di seconda fila, poeta minore, voce lontana dall’eloquenza della grande arte, la via della modernità. In questo Baudelaire anticipa davvero quella pratica moderna e quasi postmoderna dell’artista come amateur (penso all’elogio del gusto di Barthes), che rigetta il ruolo “volgare” dell’artista come costruttore di sistemi, mentore ed esperto. Ovviamente il critico Baudelaire, che frequentava i Salons, che ammirava Manet, Daumier, sta anche provocando e teatralizzando. Prima che Guys finisca per sfocarsi, ridursi ad una cifra C. G., solo un riflesso, in fondo Baudelaire sta parlando di sé. Di sé come decostruttore del testo e della società, in cerca di significati nuovi e meravigliosi attraverso il gesto moderno della de-familiarizzazzione.

Accanto al dandy e al flaneur, alter ego dell’artista moderno, altra figura di questo passaggio verso la modernità è proprio la donna. Tre capitoli del saggio sono dedicati a lei (La femme, La femme et les filles, L’eloge du maquillage), eppure per tanti critici sarebbe stata solo una parte trascurabile. Una specie di digressione nell’impianto teorico che poteva oscurare il profeta della modernità in un saggio che in realtà è proprio una lunga digressione o un insieme di digressioni. La donna resta invece una specie di contraltare, il termine opposto del paradosso della modernità, il negativo di una vocazione e di uno stile che avanza per ossimori ed apologie.

Donne e prostitute negli stessi anni ritornano ossessivamente nelle opere di Guys. E per Baudelaire si fanno chiaramente oggetto della sua teoria estetica e un aggancio essenziale alla modernità. La donna si stacca dalla folla e attira l’attenzione dell’artista. Nei suoi passi avanza un bel animal, una divinità impenetrabile, un astro, un idolo che lo turba e lo esalta, avvolto in nubi di mussola, ricoperto di pietre preziose, corpi di metalli che serpenteggiano attorno alle sue membra, reggendole come piedistalli. Per Baudelaire questa musa deve adornarsi per essere adorata. Gli artifici sono necessari per sostenere la sua fragilità, formano tutt’uno con il corpo, penetrano nelle carni per poterla elevare ad una specie di divinità, punitrice ed irraggiungibile. Le donne di Guys sono signore dell’aristocrazia parigina e londinese, che si affacciano con civetteria dalla loggia di un palco a teatro, dove ovviamente fingono di seguire con interesse uno spettacolo per il quale non nutrono nessun interesse o solo una curiosità superficiale, donne superbe al braccio dei loro mariti al Bois de Boulogne, giovani arriviste che imitano le grandi signore, ma tante, tante prostitute, dalle più volgari alle più sofisticate, la cui ombra si allunga e deforma nelle corna di un demonio.

Sotto la penna dell’artista moderno la donna è un oggetto, bello ai confini del grottesco, a volte divino, sempre superficiale e passivo. Mai un essere umano. Mai e poi mai potrà essere “il pittore” della vita moderna, che ha un solo sesso: maschio.Ainsi il va, il court, il cherche. Que cherche-t-il ? A coup sûr, cet homme, tel que je l’ai dépeint, ce solitaire doué d’une imagination active, toujours voyageant à travers le grand désert d’hommes, a un but plus élevé que celui d’un pur flâneur, un but plus général, autre que le plaisir fugitif de la circonstance. Il cherche ce quelque chose qu’on nous permettra d’appeler la modernité“.

Troppo scomoda questa misoginia, allora meglio relativizzare e raccontare che Baudelaire in realtà nutre dei sentimenti ambivalenti rispetto all’universo femminile, diviso tra l’adorazione per una donna pura, una creatura angelica (come se questo bastasse), e una creatura perfida, una eterna Eva o Pandora, dispensatrice di guai e vizi, oggetto di desiderio e disprezzo. Tutto per mettere a tacere la visione reazionaria di Baudelaire, che era ovviamente diffusa duecento anni fa, ma che cominciava già ad essere messa in discussione.

Sartre ci racconta questa ambiguità, riconducendola a quello che era successo prima, l’evento traumatico che aveva marcato la vita del poeta. Dopo la morte del padre, la madre di Baudelaire si risposò con un generale, Mr. Aupick. Baudelaire non accettò mai questa scelta della madre, questa specie di tradimento. Ereditò e dissipò l’eredità del padre fino alla decisione della madre di farlo dichiarare incapace e di farlo mettere sotto tutela, fino a quel viaggio che avrebbe dovuto allontanarlo da Parigi e dalla perdizione, ma che Baudelaire interruppe a metà strada, incapace oramai di tornare davvero indietro. Sartre ci parla di un Baudelaire imprigionato tra il desiderio e il timore della libertà, intrappolato in un meccanismo psicologico perverso e circolare il cui cardine era la figura interiorizzata di un giudice- annientatore, che prendeva di volta in volta le sembianze della madre, del patrigno o del tutore legale. Nella suggestione di Sartre, la donna, incarnazione del bene, funziona di nuovo come quel giudice che punisce e a cui ribellarsi, in un processo (senza scampo) in cui Baudelaire cerca di diventare padrone di sé. È questa donna pura a cui Baudelaire pensa mentre si consuma nelle sue relazioni con prostitute, o con la sua amante, Jeanne Duval, il cigno nero,“l’affreuse Juive” per sentirsi ancora più sporco e colpevole, intensificare il suo piacere, ed entrare così in contatto con la donna idealizzata. Sotto lo sguardo di questa medusa, che ha anche le sembianze di sua madre, Baudelaire si sente vittima, perdente, ancora più sporco, un mero oggetto. A questo si ribella, e per affermarsi come soggetto, la degrada, la disprezza. Il cerchio si chiude per riaprirsi nuovamente. La donna si deforma in un capitolo doloroso nella complessa psicologia di Baudelaire, e la misoginia del poeta diventa quasi un trauma e un meccanismo psicologico scusabile.

Altra strategia per nascondere la misoginia di Baudelaire è stata raccontarla con le parole dell’allegoria. La donna è solo un’allegoria della creazione poetica, della violenza della condizione moderna, del capitalismo e della società industriale. Ma anche così questa donna finisce per rappresentare sempre altro, non è mai se stessa, perdendosi in un astratta realtà semiotica.

La visione di Baudelaire era dominante all’epoca eppure Baudelaire scrive nella stessa Francia di François Poulain de la Barre che già duecento anni prima pubblicava de L’égalité des deux sexes. Poi Diderot, Condorcet, amico del padre di Baudelaire, o Olympe de Gouges avevano rivendicato il diritto di voto e difeso la dignità della donna. Ora, agli albori del diciannovesimo secolo, John Stuart Mill si schiera frontalmente per l’uguaglianza, ci sono i primi movimenti femministi in Francia ed in Inghilterra. In Francia due figure importanti Madame de Stael e George Sand, che furono l’oggetto prediletto del cattivo gusto di diversi scrittori e pensatori reazionari come Joseph de Maistre o Proudhon e lo stesso Baudelaire.

Nel Peintre de la vie moderne, Baudelaire cita de Maistre proprio a proposito della donna, quel “bell’animale” che rallegra il gioco serio (da uomini) della politica. Non parliamo poi di Proudhon che voleva addirittura provare scientificamente l’inferiorità della donna, anche qui giusto “un bell’animaletto in cerca di baci, come una caprettina in cerca di sale”.

L’avversione di Baudelaire per le donne si trova ovunque. Nel saggio su Poe già aveva avuto l’occasione di ridicolizzare le intellettuali, quelle che chiamavano in Francia le “bas-bleu” (una che si atteggia ad intellettuale), che « écrivent avec une rapidité débordante; leur coeur bavarde à la rame. Elles ne connaissent ni l’art, ni la mesure, ni la logique ; leur style traine et ondoie comme leurs vêtements ». In Mon cœur mis à nu, Baudelaire attacca George Sand : « Elle est bête, elle est lourde, elle est bavarde ; elle a dans les idées morales, la même profondeur de jugement et la même délicatesse de sentiment que les concierges et les filles entretenues » Per finire qui nel Peintre de la vie moderne : « La femme est le contraire du Dandy. Donc elle doit faire horreur. La femme a faim et elle veut manger. Soif, et elle veut boire. Elle est en rut et elle veut être foutue. Le beu mérite ! la femme est naturelle, c’est-à-dire abominable ». Tutto questo ovviamente è da collegare con i sentimenti ambivalenti che il poeta nutriva per sua madre. Madame Aupick, forse ottusamente o piuttosto con sarcasmo, quando lesse il saggio si complimentò con il figlio per l’elogio che ne faceva della donna. Lettera a cui Baudelaire rispose con un’altra lettera in cui diceva di dispiacersi di disilluderla, che non aveva capito niente del testo, che il suo era proprio il contrario di un elogio, che non era mai stato più duro nei confronti dell’universo femminile, ma che ovviamente tutte quelle cose non le pensava della donna-madre, categoria a parte. Ancora più irraggiungibile ed intoccabile. L’impossibilità dell’unione sessuale rende supremamente pura la donna-madre.

Ma l’elogio del maquillage e della donna-musa non sono sufficienti. Simone de Beauvoir ha spiegato più volte come la mitizzazione della donna sia un altro modo di disumanizzarla, di chiuderla nella sfera del soprannaturale, di farne l’altro assoluto. Gli orpelli e il belletto non sono strumenti di emancipazione nella misura in cui perpetuano uno stereotipo, adornano un certo immaginario costruito dalla cultura patriarcale, assecondano un certo desiderio maschile. Nell’immaginario maschilista sono strumenti per tenere a bada quell’animalità, che faceva scandalo, di cui l’uomo aveva paura, la paura ancestrale per la dea madre. Ma la natura, ritorna prepotentemente in quegli adorni, piume, pietre, bracciali che serpenteggiano. E la donna resta lì ripiegata nella sua animalità.

Forse solo l’amore nell’opera del poeta, un amore sadomasochista, feticista, che stilla sangue come una operazione chirurgica, è un amore davvero moderno, non romantico. Ma l’oggetto di questo amore non è ancora cambiato. È un amore che cerca ancora una donna pre-moderna, un’incarnazione, o un’adorazione. E assieme alla visione della donna, l’estetica di Baudelaire si colloca un passo prima della modernità, di quella modernità di cui il poeta presagiva il potenziale autodistruttivo. Lì, alla mercé del nichilismo della modernità, in uno spazio che accoglie e resiste al cambiamento. In questo spazio di controsenso, uno spazio di segni, sensazioni e corporeità disarticolate da un testo canonico come lo descrive Barthes, in questo tempo fuori della storia, Baudelaire ricava il suo posto negativo e maledetto, atroce e fantasmagorico per fare poesia.

E qui nella patria del rifiuto, tutto, le emozioni e le idee sono come continuamente morse, si smentiscono incessantemente. Il giorno è occupato dalla notte, la notte dalla colpa e dal supplizio e solo la poesia proietta una luce agonizzante tra veglia e sonno. E allora quando Baudelaire parla all’infinito della stupidità delle donne, quella stupidità che le difende dalle rughe, la stupidità che le rende così care a “noi saggi”, è come se lui, poeta minore, “deplacé”, stia prendendo le distanze da quel “noi saggi” e quindi anche dalle idee maschiliste e perbene di quel ceto. Baudelaire non può non cercare una donna diversa, fuori del conformismo, tra le forme d’amore emarginate, condannate eppure praticate da quella stessa società giudicante, tra le prostitute e le lesbiche. Ma, lui lo sa, questo non è un angolo sicuro, è una ricerca che si contraddice, che non si arresta su un punto o si arresta su un punto cavo, nel disordine dello spleen.

Silvia Acierno

Bibliografia
Il pittore della vita moderna, Abscondita, 2018
Il pittore della vita moderna, Marsilio editore, 2001
Le peintre de la vie moderne, Editions du Sandre, Paris, 2009
El pintor de la vida moderna, Alianza editorial, Madrid, 2021