Forse il titolo non rende giustizia a questo “romanzo della rosa”, nonostante l’eco al poema francese del XIII secolo e a tutti i richiami allegorici ed enciclopedici che entrambi contengono. Perché Il romanzo della rosa di Anna Peyron è decisamente più di un romanzo.

Lo è sicuramente nella sua prima parte, nella quale seguiamo le vicende di Napoleone e Giuseppina come moderna love story tra personaggi di spicco del jet-set, ma dove già intuiamo che i roseti non sono lo sfondo della loro storia d’amore ma l’asse portante di tutta la narrazione. Procedendo con la lettura incontriamo altri mille personaggi che hanno intrecciato con la coltivazione e la cura delle rose la loro vita, alcuni solo per poche righe, altri per più pagine, ma sempre delineati con tratti precisi e vivaci; al di là di quelli famosi al grande pubblico come Isadora Ducan o Jean Cocteau, i più curiosi sono i piccoli giardinieri di provincia, le signore della buona società con la passione dei fiori, i minatori e i pittori riconvertiti a coltivatori di rose.

Seguendoli viaggiamo per tutto il mondo a caccia di sementi e talee, fino a roseti realizzati nei luoghi più impensabili come quello del carcere di massima sicurezza di Alcatraz. Possiamo anche saltare di qua e di là lungo il libro, a caccia del capitoletto che più ci incuriosisce, senza essere così obbligati a una lettura continuativa, anche se il filo conduttore costruito dall’autrice ne è la migliore chiave di comprensione.

Ci appassioniamo, anche noi che non distingueremmo un lilium da una gerbera, alle impossibili ricerche scientifiche per produrre una rosa blu e a quelle più fortunate per ottenere una rosa con le foglie dal profumo di agrumi; ci dogliamo per il giardino distrutto della contessa Marie Henrieta Choteck e fatichiamo con loro leggendo dei tentativi dei più famosi ibridatori dell’Europa tra restaurazione e rivoluzione per ottenere rose straordinarie. E quando siamo a pagina 200 scopriamo chi è l’autrice di questa narrazione, che risulta a pieno titolo per il lettore un personaggio guida, ma che si presenta quando pensiamo di essere arrivati ai saluti, come a chiudere il cerchio di quanto letto.

Alla fine del volume un glossario e una bibliografia danno valore a quando letto fin ora, ma saggiamente non sono stati inseriti come citazioni o note nel mezzo del racconto, cosa che avrebbe resto di certo più pesante la lettura, che invece scorre veloce come un romanzo. Che quindi forse il titolo sia quello più giusto possibile?

Laura Berti Ceroni