Visto tutto quello che è venuto dopo Padri e figli, romanzo del 1862 dello scrittore russo Ivan Turgenev, in campo letterario e nonm bel secondo Ottocento russo e ben oltre, dopo più un secolo di nichilismi, il povero Bazarov, protagonista del capolavoro di Turgenev, sembra aver poco da offrire al di là di una primogenitura generica. Il primo intellettuale nichilista cosciente della narrativa russa, non ha nulla da rispondere a chi gli chiede se è pronto ad agire insieme ai suoi compagni di fede, perché non sa proprio cosa fare. La paura della rivoluzione precede la formulazione del progetto rivoluzonario.
Quando Padri e figli fu pubblicato in Russia, suscitando forti dibattiti, Bazarov era considerato da alcuni un’apoteosi del radicalismo, da altri una presa in giro del rivoluzionario. Tuttavia il romanzo sembra addirittura evitare la complessità ardente della realtà ideologico-politica del proprio tempo, più che rispecchiarla compiutamente.
Il romanzo ha un intreccio narrativo scarno, cotruito su dialoghi fitti, svelando per contro la complessità di un mondo e delle sue relazioni.
La schiettezza del vero si intreccia al presunto, addentrandosi in un universo dove qualsiasi verità o idea si abbandona all’ incertezza ed alla caducità.
La pura narrazione soggiace alla ricchezza dei personaggi e delle relazioni, contrapponendo spirito-materia, sperimentazione-sentimento, empirismo-amore.
Padri e figli è l’analisi sottile del conflitto generazionale che dominò gli anni Sessanta in Russia: ai padri, aristocratici idealisti e liberali, immobili nella loro privilegiata sclerosi, si oppongono i figli, antidealisti, democratici, materialisti, nichilisti.
Nella Russia del 1859, in un momento di grande fermento politico e intellettuale, le divergenze tra due generazioni si fanno sempre più aspre e nette.
I padri sono uomini di una certa età, ancorati ai valori tradizionali e alle convenzioni sociali, uomini buoni e onesti, magari, ma in fondo incapaci di pensare e mettere in atto veri e propri cambiamenti.
Il compito di guardare le cose in modo nuovo e tentare di rinnovare il mondo è, in fondo, da sempre, appannaggio dei figli. A loro la spavalderia e l’energia della giovinezza. A loro il pragmatismo di chi si fa beffe di ideali e sentimentalismi. A loro il rifiuto di dogmi e antichi princìpi: il nichilismo. Ma questa forza distruttrice sarà adatta per costruire qualcosa di nuovo e rispondere alle istanze di riforma della società russa?
Barazov si limita a rabbiose dichiarazioni di fede. Turgenev gli ha inibito la conoscenza non solo degli effetti della Grande Data del febbraio 1861, la liberazione dei contadini della servità della gleba che però introdusse ulteriori contraddizioni e crisi socio-economica, ma persino l’esperienza diretta di quel giorno fatale. Barazov infatti muore prima.
«Il posto che occupo è infinitamente piccolo se si paragona a tutto lo spazio dove io non sono e non sarò mai… E la porzione di tempo in cui mi è dato di vivere è così insignificante rispetto all’eternità in cui non ho vissuto e non vivrò mai. E in questo atomo, in questo punto matematico, circola il sangue, lavora il cervello, nascono i desideri… Che orrore! Che assurdità!»
Turgenev ignora quella data, perché il suo è romanzo in primis estetico non ideologico, un romanzo storico, non di vita contemporanea. Il lavoro dell’autore russo sul romanzo è dominato dall’imperativo morale prima ancora che espressivo, dell’obiettività nei confronti dei personaggi, anche distanti dalle sue idee e di ambienti sociali che riteneva condannabili. Tale obiettività tende a rendere conto delle diverse facce del reale, stilizzando e retrodatando ciò che vuole essere solo una professione di fede nella doppia verità. Ne risulta l’aderenza del romanzo alla duplicità del mondo, come si nota dalla descrizione del personaggio di Arkadij.
La duplicità si rispecchia nella simmetrica parabola di Bazarov e del padre antinichilista, anglofilo e nobile Pavel Petrovic. La realtà dell’amore invece, che impone i propri diritti sull’idea, del sentimento che travolge i progetti umani è studiata da due punti di vista diversi e possibili: due generazioni e due classi sociali diverse.
Nella seconda parte del romanzo Barazov ha una crisi e risulta fondamentale la figura di Anna Odincova, la quale, con propri atteggiamenti repulsivi e freddi si nutre del nichilismo bazaroviano, per asserire artisticamente che la donna è donna e per giustificare il sentimento di Bazarov. Facendole compiere gesti “eroici” nell’ultimo incontro con Bazarov.
Per far giganteggiare il personaggio di Bazarov, Turgenev, inoltre illustra la nobiltà di campagna attraverso gli esponenti migliori di una classe condannata dalla Storia e Bazarov risponde con reazioni estreme e negative, in una sorta di irritazione universale sempre in esercizio, come un automa. Il suo ruolo di lupo solitario e tragico, è sottolineato dalla sua apparizione nel romanzo che avviene contro le regole della narrativa classica: Bazarov non ha diritto alla scheda biografica come tutti gli altri, egli è senza passato inizialmente, e nasce prima di tutto da una involontaria attrazione, da un sogno di Turgenev, una figura cupa e selvatica, votata alla rovina.
Per questo Bazarov sopravvive ai limiti dei programmi politico letterari del suo tempo e del suo autore, per questo il protagonista di Padri e figli non è un paradigma senza carne ed entusiasmò Dostojevskij che intravedeva “un fantasma dal grande cuore”, nonostante il suo nichilismo.
«L’uomo è in grado di capire tutto, come vibra l’etere e che cosa avviene sul sole, ma non capirà mai che un altro uomo possa soffiarsi il naso in un modo diverso dal suo».
Anna Lina Grasso
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