Sfogliando una rivista, alla pagina dei libri consigliati, leggo uno strano titolo fiore, frutto, foglia, fango e in copertina vedo la foto di un cane piuttosto bruttino. Decido di prendere qualche informazione e sì, mi interessa. Lo leggo.

Si tratta del libro fiore, frutto, foglia, fango, scritto da Sara Baume, nata nel Lancashire, poi trasferitasi in Irlanda. Dopo aver pubblicato numerosi racconti, questo è il suo romanzo d’esordio.
Il racconto mi coinvolge da subito. Ci sono tanti elementi a me affini: la diversità, i cani, il rapporto dell’uomo con il cane e con la natura.

Pagina dopo pagina, mi accorgo che è proprio come la traduttrice, Ada Arduini, racconta nella sua nota: questo libro “descrive un animale con tanta intensità”. Sara pone grande attenzione e rispetto verso il rapporto uomo-cane, verso Ray, il protagonista. Ray è un uomo che “riversa la propria empatia e il proprio amore per il mondo che lo circonda e che lo ha rifiutato” sull’amico quattro zampe che lo ama nonostante la sua diversità.

Due diversità che si incontrano, si rispettano, si amano. Un libro che ci fa riflettere su quanto gli animali amano l’uomo qualunque sia la sua condizione. Per i cani non conta come sei e come vivi, conta solo quanto affetto sei disposto a offrire.

La storia è quella di uomo, Ray, di 57 anni che vive isolato da tutti nella casa del padre sulla costa irlandese. La sua vita, fatta di piccole routine, come la spesa al market il martedì mattina, viene stravolta bruscamente dall’avviso letto sulla vetrina del negozio: “cercasi proprietario paziente e comprensivo”. Ray d’istinto e senza pensarci troppo, decide di adottare questo cane un po’ indisciplinato. Subito si accorge della sua diversità: al cane manca un occhio. E allora anche il nome è immediato: “Benvenuto a casa, Unocchio, mio buon piccolo cacciatore di ratti”.

La vita scorre più serena. Ora Ray ha un amico fidato sul quale contare. Passa il tempo a raccontare a Unocchio della sua infanzia, della scomparsa misteriosa della madre, della strana morte del padre. L’unico compito di Unocchio è quello di tenere a bada i topi nella soffitta, nella stanza-chiusa-a-chiave dove il padre lavorava al suo hobby: costruire giochi. Stanza chiusa e mai più riaperta da Ray dopo la perdita del genitore.

Tutto procede tranquillamente quando un giorno, sulla spiaggia, Unocchio azzanna un altro cane e la padrona promette di tornare a casa dell’uomo e di far portar via il cane dalla Polizia. Per Ray è la fine. In paese tutti sanno dove vive quell’uomo strano, e lo tengono d’occhio, ma sempre lontano, ai margini.

Ray non può perdere il suo fidato e unico amico Unocchio. Non ha scelta. Deve mettersi in viaggio sulla sua auto, che guida a fatica con quella gamba claudicante che si ritrova. Ma non c’è altra possibilità. Tutti sanno dove abita, anche quella signora sconosciuta.

Inizia così un viaggio verso nessun luogo, solo lontano da casa, evitando i problemi e la Polizia. Ma la relazione con il padre non è conclusa e un giorno Ray si vede costretto a tornare a casa per chiudere i conti col passato.
La storia di Ray e Unocchio è bellissima e tenera. Un uomo diverso, un po’ claudicante, i capelli raccolti in una lunga coda, che vive da solo nella casa del padre, isolato da tutti, trova in un cane diverso, senza un occhio, dal pelo arruffato, quell’amico, quel compagno che la società gli ha negato, etichettandolo come uno da tenere alla larga.

È un libro pieno di natura. A ogni angolo Ray trova una piante e la classifica, legge sui libri che ha a casa, ascolta alla radio la rubrica degli esperti. Ray, proprio come Unocchio, utilizza al massimo tutti i sensi per conoscere quel mondo che li ha rifiutati e dal quale sono costretti a fuggire.

“Sono orribile. So di essere orribile. Eppure tu mi segui fedelmente fino all’acqua. Ti siedi composto tra conchiglie e ciottoli. Attendi paziente, mentre mi immergo nel mare ghiacciato […] Vedo te, che sei tutta la mia famiglia, e mi chiedo perché non scappi verso le colline. Devi aver capito che ce la faresti, che non potrei riprenderti. Eppure te ne resti seduto vicino all’acqua; eppure mi aspetti”

Sabrina Lorenzoni