Una famiglia particolare, madre femminista dall’animo sessantottino (una hippy irrisolta, una figlia dei fiori a metà) alla perenne ricerca di una causa persa da abbracciare con fede cieca, due figli gemelli, senza nome, diversamente speciali (il primo è dotato di straordinarie capacità mnemoniche, uno stupefacente potenziale cognitivo e un incalcolabile numero di connessioni neurali attive… Il secondo è molto infantile, non riesce a rimanere attento e concentrato… è duro di comprendonio, ripetitivo e si esprime in maniera goffa ed elementare. Ma riesce a cogliere la bellezza nei dettagli e nelle sfumature e ha un modo tutto suo di percepire e di comprendere), accompagnata da un redivivo Giordano Bruno, sempre pronto all’invettiva contro l’ordine costituito (meglio se rappresentato dal potere ecclesiastico) e da un non meglio precisato composto chimico particolarmente instabile, chiamato per praticità BUF, capace di immagazzinare e catalogare informazioni come un supercomputer, che parla per bocca del secondo fratello (colui che lo ha trovato tra le macerie fumanti di uno stabilimento chimico e l’unico a capirlo), attraversa un’Europa postmoderna, a bordo di un bus di dubbia provenienza trasformato in camper, sulle tracce di un fantomatico scrittore del quale i nostri non sanno praticamente nulla, e di cui hanno soltanto una breve lettera d’amore, scritta cinquant’anni prima.

Scopo del viaggio è salvare dall’oblio il signor Emme, raccogliere quante più prove possibile della sua esistenza e del valore artistico delle sue opere, per potersi presentare davanti alla “Pontificia Congregazione dell’Indice delle vite cancellate e delle opere proibite”, a perorarne la causa. Tutto è nato dalle scorie professionali di nostra madre che un tempo, prima che io e mio fratello nascessimo, era un’intrepida giornalista d’inchiesta e dalla sua passione, che non di rado tracima in ossessione, per la riabilitazione delle vittime della damnatio memoriae, racconta il primo gemello.

Siamo, verosimilmente, alla fine del secolo scorso, anche se alcuni dei personaggi appartengono ad altre epoche e le citazioni e i riferimenti socio-televisivi confondono i decenni, ma l’Europa che noi conosciamo non esiste più. Il sogno di un mondo senza frontiere si è miseramente infranto contro gli scogli degli egoismi e delle ambizioni degli uomini di potere e i confini si sono moltiplicati. La situazione geopolitica ricorda molto il ’500, tra regni, principati e granducati e con uno Stato Pontificio animato da feroci mire espansionistiche, in cui il potere temporale ha definitivamente preso il sopravvento su quello spirituale, guidato dal Papa guerriero Lucio IV (non sfugga il riferimento a Lucio III, Papa dell’enciclica ad abolendam). La storia, narrata a due voci (dissonanti, ma complementari) dai gemelli (con qualche incursione di BUF) si snoda tra luoghi più o meno reali (o, almeno, realisticamente ricostruiti) in cui personaggi spesso surreali, a volte grotteschi (forse con una eccessiva tendenza alla caricatura) si incontrano, dando vita ad un caleidoscopico affresco, del quale, fino all’ultimo, ti chiedi se non sia soltanto un sogno da cui ti aspetti che, prima o poi, si risvegli una nuova voce narrante, per scoprire il bluff e raccontare la vera storia.

Il dannato caso del Signor Emme di Massimo Roscia ripercorre le vicende del giornalista/scrittore/soldato Paolo Monelli (il signor Emme del titolo) e travalica i generi, muovendosi tra la biografia letteraria, l’allegoria, l’invettiva politica, con continui cambi di registro (dal dotto all’infantile, dall’arcaico al popolare) che se, da una parte, denotano una notevole padronanza della lingua e delle sue sfumature (i momenti in cui Roscia mostra maggiormente la propria abilità di narratore sono quelli in cui riscrive brani del sig. Emme, “alla maniera di Monelli”), dall’altra appesantiscono, almeno a tratti, il racconto. Il libro è denso di citazioni e rimandi letterari (e non solo), spesso interessanti, ma che, a volte, finiscono con l’essere un po’ ridondanti e autoreferenziali. La finzione letteraria nasconde la reale opera di rivalutazione attuata dall’autore nei confronti di Monelli, verso il quale nutre un’evidente ammirazione “Ogni assaggio e ogni sorso fanno emergere il suo sapere, la curiosità̀ dell’esploratore, l’acume, la profondità di pensiero, la capacità di mescolare elegantemente diversi stili di scrittura, la prodigiosa abilità descrittiva ed evocativa che stiamo ormai riconoscendo in tutti i suoi componimenti”, e che, in certo modo, cerca di imitare.

Anche se ricco di episodi divertenti e giocato sul filo dell’ironia, il romanzo delinea un quadro intriso di profonda amarezza, che rivela una reale preoccupazione per le sorti del mondo, precipitato in un periodo di oscurantismo, dal quale pare non esserci scampo: allarga ancora le nari l’odore acre di quelle carni arse al rogo in onore e a venerazione di Dio e ad esaltazione della sacra fede cattolica. In nome di Pietro, la libertà sta bruciando, la ragione sta bruciando, la verità sta bruciando, Roma sta bruciando. L’ultima ancora di salvezza è affidarsi agli spiriti semplici (il gemello “sciocco”, l’oste mordace, il vecchio marsigliese con la zeppola) ancora capaci di custodire sentimenti puri e altruistici.

Fabio Sarno

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