Parlaci di te.

Sono per metà toscana, da parte di padre, e metà molisana, da parte di madre. Sono nata e cresciuta a Piombino, in provincia di Livorno. Ma ogni estate l’ho trascorsa in Molise. Trascorrendo lunghi pomeriggi a leggere. Soprattutto autori italiani, nell’adolescenza. E poi americani, in età adulta.

Mi sono trasferita a Roma, città dove vivo e che amo alla follia, circa 8 anni fa per lavoro. Da quando ho finito gli studi mi sono sempre occupata, in vari ruoli e per vari istituti di ricerca e aziende, di settore energetico. In particolare, lavoro sull’analisi e sull’elaborazione delle policy e della regolazione che governano il funzionamento del settore energetico a livello europeo e italiano. Una grande passione, quella per l’energia, che oggi ho la possibilità di fare crescere e di continuarne a fare il mio lavoro come Senior Manager in PwC, una delle principali società di consulting a livello globale.

Quanto è stata importante la tua formazione per quello che fai oggi?

Certamente la laurea in economia e il PhD mi hanno dato gli strumenti necessari per comprendere la “teoria” che sta dietro i temi di cui mi occupo con il mio lavoro. La formazione e le esperienze di lavoro, anche internazionali, sono state importanti, quindi, ma non determinanti. Lo sono state molto di più le persone che ho incontrato nel mio percorso di formazione. Ho avuto l’opportunità di lavorare e di confrontarmi con persone la cui preparazione e la cui leadership mi hanno dato lo stimolo per migliorarmi giorno dopo giorno e acquisire sempre più conoscenze. Non solo rispetto a competenze di tipo tecnico ma anche al modo di approcciare il lavoro. Alla fine, il percorso formativo non deve finire con gli studi ma continuare lungo tutta la carriera professionale. Per potere effettivamente portare un contributo nel campo in cui si lavora è fondamentale continuare a studiare. Ci vuole molto rigore, in questo, ma alla fine è lo studio e la curiosità che ci rendono dei professionisti consapevoli e che traggono anche divertimento da ciò che fanno.

Spesso, le persone che per me hanno rappresentato una guida nel mondo professionale sono anche quelle con cui più ho scambiato riflessioni letterarie.

I libri che ruolo hanno nella tua vita?

Direi che hanno avuto e hanno un ruolo fondamentale. Da adolescente hanno incarnato il mezzo con cui pensavo di emanciparmi. Credevo che la lettura rappresentasse lo strumento con cui acquisire un bagaglio culturale senza il quale non mi sarei potuta emancipare da una realtà che mi andava stretta.

Oggi la lettura rappresenta sempre una fonte di evasione, ma non di fuga. Soprattutto è un modo di acquisire anche altre lenti attraverso cui guardare la realtà e interpretarla. Leggere è un momento durante il quale, spesso, attraverso le vite degli altri, ossia dei personaggi del libro, riesco a capire qualcosa in più della mia.

Ma la lettura è anche un mondo in cui trovo conforto. Leggendo alcuni autori ritrovo un modo di vedere la vita e una sensibilità vicine alle mie. Quella incomunicabilità che Cortázar cita nel suo difficilissimo, ma altrettanto affascinante, libro Rayuela – “L’incomunicabilità totale. Non tanto che siamo soli, questo lo sappiamo già e non c’è verso” – sembra ridimensionarsi.

I libri sono stati importanti per il lavoro che fai?

Lo sono stati, e lo sono, proprio per il fatto di permettermi di acquisire nuove lenti con cui osservare il mondo esterno. Per potere guidare le persone che lavorano con te, soprattutto se più giovani, è essenziale sapere cogliere le sfumature e avere la capacità di “leggere” il contesto, ma soprattutto, chi hai davanti. Sono aspetti importanti se vuoi essere per loro un interlocutore credibile e nel quale possono riporre fiducia.

Per questo prediligo gli autori come Richard Yates, Richard Ford o Raymond Carver. Proprio per il loro sguardo lucido e, per questo, spietato sulla realtà. Sono autori che, tra le altre capacità che gli riconosco, sanno mettere a nudo le fragilità ma anche la pochezza, talvolta, dell’essere umano. Senza però mai essere giudicanti. È come una constatazione la loro che, talvolta, riesce anche a suscitare empatia nel lettore.

Ce ne vuoi parlare brevemente?

Tra tutti, certamente Richard Ford è l’autore che ritengo al momento a me più vicino e uno dei pochi che ancora riesce a commuovermi leggendolo. Il protagonista di Canada, uno dei libri più belli di Ford, afferma: “La maggior parte delle cose non rimangono molto a lungo come sono. Saperlo, però, non mi ha reso cinico. Cinico significa credere che il bene non è possibile. Semplicemente, non do nulla per scontato e cerco di essere pronto per i cambiamenti che presto verranno.”

Ford, attraverso i suoi personaggi, offre sempre una visione disincantata della realtà. Ma non per questo affatto profonda. Anzi, i personaggi di Ford vivono costantemente nel dubbio, ponendosi domande sulle proprie scelte passate e presenti a tal punto da confondersi, talvolta, con i propri sogni.

Una visione che, in quanto tale, restituisce l’amara consapevolezza della ineluttabile solitudine dell’essere umano. Ma che, dall’altro lato, ha anche il pregio, andando all’essenza “delle cose”, di farci vivere gli eventi della vita, anche piccoli, con una portata esistenziale.

Intervista a cura di Angela Vecchione