Il romanzo Le isole di Norman esce ad Aprile 2020 con Italo Svevo Editore. Ma come è nato? Da racconti? Da altri nuclei e poi come ha camminato? come è arrivato all’editore e infine al Campiello?

Le isole di Norman nasce da un primo frammento che ho scritto nel 2013. Scrivevo di una bambina, che poi è Elena del passato, che usava della plastilina per riempire i buchi dei tarli nel suo parquet. Lo mandai a una rivista (Colla una rivista letteraria in crisi), mi dissero che era interessante, e così cominciai a scrivere gli episodi della bambina nel passato, arrivando a scrivere l’intero testo, finito nel 2014. Lo mandai al Premio Calvino, risultò finalista nel 2015, e poi dopo diversi anni Italosvevo decise di pubblicarlo.

La lettura. Da bambina leggevi? Che letture sceglievi, cosa amavi dei libri e con chi ne parlavi?

Ho sempre letto moltissimo, fin da bambina, quello che trovavo in casa o che mi proponevano i miei genitori, quelli che ora si direbbero due lettori forti. Dei libri mi è sempre piaciuta la dimensione esclusiva, la possibilità di immergersi in un mondo altro, che più mi interessava quanto più lo trovavo in qualche modo misterioso.

Libri preferiti a 10 anni, a 20, a 30

Sui libri preferiti non so rispondere esattamente, sono stati davvero tanti, e molti non li ricordo, non sempre almeno. A volta mi affiorano ricordi di libri letti, dal nulla. Di certo, come è anche riportato ed esplicitato ne Le isole di Norman, L’isola del Tesoro di Robert Louis Stevenson è stato forse il libro che mi ha accompagnato di più da bambina. Mi incuriosivano certe scrittrici, questo ricordo. Da adolescente ero ossessionata da Virginia Woolf, dalla libertà della sua vita, anche nella sofferenza, anche se solo crescendo ne ho colto poi la grandezza.

Dalla lettura alla scrittura. Quando hai scritto il tuo primo racconto o la tua prima poesia, chi aveva come protagonista, qual era il tuo pubblico di allora, com’era la rilegatura: foglio di quaderno, illustrazioni, fogli battuti a macchina, copertina

A scuola, alle elementari, la maestra ci faceva fare questo gioco: ritagliava tanti bigliettini, in ognuno c’era scritta una parola. Noi ci alzavamo e andavamo a sceglierne tre, e con quelle tre parole dovevamo scrivere una storia, e a me era una cosa che piaceva moltissimo, ero proprio emozionata nello scoprire le parole che mi sarebbero toccate. Poi alle medie a volte scrivevo e disegnavo delle piccole storie, le rilegavo e le portavo a scuola. Mi piaceva molto disegnare, l’innesco era sempre più dall’immagine che dalla parola. Quindi, se devo dire, sono stati episodi sporadici, almeno fino a qualche anno fa, trent’anni dopo quindi, quando mi sono messa a scrivere appunto Le isole di Norman. Nella vita ho fatto altro, ho studiato ingegneria, ho fatto un dottorato, ho lavorato come ingegnere molto intensamente, tutte cose che mi soddisfacevano molto, e di certo non pensavo alla scrittura.

Come hai imparato a scrivere?

Leggendo, solo questo posso dire. Leggendo molto, imparando poi a leggere con cognizione, che è la cosa che mi interessa tutt’ora molto. Leggere un libro per cercare di capire come è fatto, come è costruito, da dove arrivano certe idee o suggestioni. Leggendo con criterio ma allo stesso tempo senza perdere lo stupore e il piacere che mi porta a leggere, in un equilibrio difficile ma che cerco sempre di mantenere.

Cosa nutre la tua scrittura?

Questa è una domanda davvero complessa, e non so cosa rispondere. Ho delle storie in testa, questo sì, sempre, per le quali prendo appunti, mi faccio qualche schema, raccolgo magari fotografie, o articoli. Una parte importante sono le fotografie, sicuramente. Un certo colore, un’immagine, un volto ritratto, una via. Foto che trovo in rete, che scatto io muovendomi, e mi dico: ecco, questa potrebbe essere interessante per (descrivere quella casa in quel modo, trovare il punto di blu che cerco per quel cielo), e allora le divido in cartelle sul computer, e poi piano piano negli anni quando la cartella si amplia allora forse è il suo momento, riguardo, metto in ordine, comincio.

Quali letture sono oggi alla base della tua narrazione. quali libri divori e perché quali sono i libri che non riesci a finire, quali quelli su cui ritorni, che rileggi più spesso?

Leggo di tutto, in maniera disordinata, anche spesso in contemporanea. Leggo per temi, dovendo studiare una certa cosa attorno a cui sto pensando di costruire una storia. Leggo cercando una lingua, anche, o a volte, le volte migliori, leggo per leggere e basta. Tutto in questo senso è parte della narrazione, ma non potrebbe essere diversamente credo, i libri, il momento in cui li hai letti, tutto si riversa in quello che scrivi, in un modo che non credo sia neanche particolarmente giusto indagare, non per me quantomeno. Per questo, anche nel parlare di scrittori di riferimento sono in difficoltà, ce ne sono tanti che mi interessano, che mi piacciono, che mi hanno folgorato in periodi diversi della mia vita, e davvero non saprei da dove cominciare. Anche la rilettura, è una cosa che pratico pochissimo, ho riletto pochi libri, e non per motivi così precisi, a volte per caso.

Quali scrittori contemporanei o del novecento sono importanti per te e con quali libri in particolare. E la poesia?

Da qualche anno, non so neanche perché, attorno a Natale rileggo Il sistema periodico di Primo Levi. Mi interessano, per questioni autobiografiche, gli scrittori con una formazione scientifica, e Primo Levi ha un certo tipo di esattezza che mi affascina molto, e ogni volta trovo qualcosa di diverso nei suoi racconti. La poesia la conosco poco, anche se ne sento spesso l’esigenza, specialmente nei momenti di maggiore confusione. Per questo mi faccio spesso consigliare da persone che la poesia la leggono e la praticano. Ultimamente sono rimasta colpita da una raccolta edita da Black Coffee, Nuova poesia americana, e da un poeta lituano, Eugenijus Alisanka, anche loro scoperti per caso.

Cosa pensi della scrittura come conoscenza di sé? Quanto scrivere ti mette in contatto con te stessa?

Di certo la scrittura è una forma di conoscenza di sé, per me tanto più intensa quanto più è lontana da me per ambientazioni, personaggi, vicende. Sono i temi alla base di quello che scrivi a essere sempre personali, e nel tempo mi sono resa conto che è anche per questo che scrivo, per capire più a fondo alcune cose che su cui mi interrogo. Alla base de Le isole di Norman c’era la memoria, il mio rapporto con la memoria, che è certamente un mio tema, e infatti mi rendo conto riverbera anche in altri miei scritti in corso, però ecco, ci penso di meno, come se scrivendo quel testo io abbia esaurito in parte il mio tormento intorno, o quantomeno lo abbia diluito, per specchiarlo in altro.

Cosa consiglieresti a chi volesse cominciare a scrivere? Scrivere sui social, seguire le correnti attuali di scrittura, andare contro?

C’è un solo modo per scrivere, ed è scrivere, e per quanto sembri tautologico o forse irriverente, è davvero quello che penso. Scrivere è un atto fisico, più di quanto si pensi, e come tutti gli atti necessita di allenamento. Scrivere è muoversi sui tasti con le mani, o su un foglio con la penna, ci vuole certo concentrazione, ma anche postura, scioltezza, che si acquistano solo scrivendo, appunto. Esercitare il gesto, questo mi viene da dire.

Prima di cominciare a scrivere cosa fai? Leggi qualcosa o qualcuno in particolare, ascolti un brano, incontri qualcuno,  mangi qualcosa, vai in pellegrinaggio?

Nulla in particolare, credo. Se sono a casa e lavoro sul pc sicuramente metto della musica, ho sempre studiato e lavorato con la musica. Se sono fuori scrivo come capita, appoggiata sulle ginocchia con il quaderno, mandandomi note vocali su cose che vedo, digitando appunti sullo smartphone. Non ho una routine particolare, e anzi, in questi anni ho fatto di tutto per non averla, per contrastarla. Scrivere doveva far parte della mia vita, nonostante gli accidenti, e il mio allenamento è stato teso a questo. Ho scritto durante riunioni di lavoro, ho scritto con il bambino che mi urlava nell’orecchio, e anche in casa, se non c’era un posto silenzioso dove stare (il recente lockdown ci ha tesi tutti) ho scritto chiudendomi a chiave in bagno.

Tre cose del tuo romanzo che vuoi dirci

In cauda venenum: la domanda più difficile! No, non ho davvero niente da dire su Le isole di Norman, se non che spero che sia di interesse per chi lo legge, e che in qualche modo qualche piccola parte risuoni, o qualche immagine rimanga. In fondo, è questo che io chiedo a un libro, quando lo leggo. Di darmi qualcosa da portarmi nel tempo.

Intervista di Alda Coppola