Antonio Perfido, Head of Digital di The Digital Box, ideatore del Convergent Markering, è AI Educational Partner del WFF e terrà per la prima volta durante il festival una MasterClass dedicata alla scrittura e all’intelligenza artificiale. Grazie a questa collaborazione il festival è promosso in maniera convergente attraverso il Mobile, i Social Network e l’Intelligenza Artificiale.

Raccontiamo storie da sempre, noi esseri umani. Lo facciamo spesso e volentieri senza renderci conto di quanto prezioso e naturale sia questo gesto, così come non ci rendiamo conto, talvolta, di come questa speciale abilità ci permetta di comprendere il mondo attorno a noi.

Lo diamo per scontato, il gesto del raccontare, la capacità di condividere esperienze con altri simili sotto forma di narrazioni più o meno complesse: sarebbe probabilmente stato così per sempre, se non fosse stato per lo sviluppo tecnologico, il quale ci ha avvicinato a un’intelligenza nuova, diversa, che ad un certo punto, grazie al nostro zampino beninteso, si è messa a impiegare quelle stesse capacità, o meglio: a provare di impiegarle.

Quando si è capito che sul serio poteva succedere che una roba sintetica come un computer (facciamola semplice, per cominciare) poteva “immaginare”, messo fra virgolette dato che ciò che fa è un qualcosa di diverso dal creare ciò che non esiste, il problema si è spostato da una technicallity a una dimensione etica.

Un’intelligenza artificiale, non organica, che fa ciò che è solo nostro. Ci stiamo togliendo qualcosa di esclusivo come il raccontare, e a che scopo? E soprattutto, quell’intelligenza è veramente così intelligente?

Ne abbiamo parlato con Antonio Perfido, CMO & Head of Digital (oltre che Co-founder) di The Digital Box.

La prima domanda che ti faccio è dritta per dritta: l’intelligenza artificiale, o per dirla in maniera più fantascientifica, le macchine, possono raccontare storie?

Anche la risposta arriva dritta per dritta 😉 ed è: ancora no! Il tema è dibattuto.
In Italia, ad esempio, Joseph Sassoon ha avviato un interessante dibattito sulla capacità delle macchine di fare propria la struttura delle storie con il libro Storytelling e intelligenza artificiale: Quando le storie le raccontano i robot. Certo, la tecnologia evolve. Si affermano sistemi di intelligenza artificiale sempre più potenti. OpenAI dichiara che il modello di linguaggio GPT-3 ha una potenza di calcolo spaventosa: oltre 175 miliardi di parametri per produrre testi indistinguibili da quelli scritti dalle persone. Ci sono piattaforme come Articoloo che promettono di redigere un testo in soli 5 secondi, partendo da un semplice titolo. Ma, nonostante tutto, ritengo che un racconto ben scritto rappresenti ancora un dominio incontrastato dell’uomo. Il linguaggio è un mistero: il tono umoristico, l’ironia, i modi di dire, le sfumature, le allusioni sono elementi sostanzialmente estranei alle macchine. La capacità di creare significati sempre nuovi attraverso la combinazione di parole non è, al momento, replicabile dalle macchine. Gli algoritmi eccellono in tutto ciò che è standard e ripetitivo, ma si dimostrano ancora incapaci di costruire autonomamente storie così come le abbiamo intese.

Che senso ha dotare di strumenti creativi un’intelligenza sintetica? Qual è lo scopo?

L’Intelligenza Artificiale conversazionale ha una missione chiara: fornire supporto all’uomo con le informazioni di cui ha bisogno, in modo semplice e senza frizioni. Gli sviluppi nella comprensione del linguaggio naturale e nell’apprendimento automatico hanno reso concreti questi obiettivi. Siri, Google Assistant, Alexa e gli assistenti virtuali di banche, assicurazioni e telco sono diventati gli amici virtuali ai quali ricorriamo in caso di necessità. Simulando le abilità linguistiche dell’uomo. C’è però un ambito attuale che le società del settore stanno esplorando ed è quello dell’intelligenza emotiva. Creatività ed empatia sono tra le qualità di cui le intelligenze conversazionali hanno bisogno per fornire alle persone esperienze ampiamente compatibili con quelle degli operatori umani. Sempre più l’intelligenza artificiale sta trasformandosi in comunicazione multimodale, nella quale cioè oltre al linguaggio verbale appaiono la gestualità, le movenze e gli ammiccamenti tipici di noi uomini. Noi chiamiamo “Artificial Human”: sono avatar 3D con sembianze umane, sviluppati da QuestIT società del Gruppo The Digital Box, e permettono alle macchine di immedesimarsi in una conversazione alla pari con l’uomo sfruttandone tutte le doti di comunicazione e di creatività. I vantaggi? Conversazioni più fluide, empatiche e capaci di andare oltre il semplice e freddo rapporto con un assistente vocale o un chatbot.

Facciamo un focus sul marketing. Ci sono aziende che sull’intelligenza artificiale stanno cercando di articolare il proprio sistema di customer service, ad esempio, arricchendo così la propria piattaforma esperienziale. Al di là del risparmio sui costi e il fatto che le macchine sostanzialmente possano lavorare 24h e 7/7, qual è il vantaggio concreto?

Un ulteriore vantaggio, che si somma a quelli che hai giustamente menzionato, è nell’opportunità di esplorare una chiave di lettura diversa nel contesto delle comunicazioni di marketing. Una leva innovativa, con elevati margini di crescita, basata sull’incrocio tra linguaggio naturale e algoritmi di intelligenza artificiale. Le conversazioni tra marche e persone stanno aumentano, in numero e qualità. Assistiamo a dialoghi frequenti sulle app di messagistica: WhatsApp ha superato i 100 miliardi di messaggi giornalieri scambiati e su Instagram, 150 milioni di utenti dialogano ogni mese con marche e organizzazioni. L’Intelligenza Artificiale svolge un ruolo chiave nel rendere queste conversazioni utili e attive, senza soluzione di continuità. In questo scenario si delineano mestieri e competenze nuove, sono necessari tempi di apprendimento e di comprensione delle dinamiche. Marche e organizzazioni devono affrettarsi nel comprendere come innovare attraverso strumenti di comunicazione infaticabili e intelligenti per instaurare relazioni durevoli con le persone.

Sono curioso di capire cosa si intenda per marketing convergente, dato che la convergenza, come termine, è saltata per prima in ambito narrativo e culturale. Ce lo puoi spiegare e qual è il ruolo dell’AI in questo tuo impianto.

Penso di poter racchiudere la risposta in 3 parole: una filosofia – la convergenza – è diventata un metodo di marketing – il Convergent Marketing® – e si è trasformata in un modello formativo – le MasterClass del Convergent Marketing® -. La convergenza, già teorizzata da Jenkins nel 2007 (ricordo a tutti il libro molto interessante Cultura Convergente), individua nell’evoluzione culturale la chiave di lettura del fenomeno tecnologico. Come persone abbiamo un ruolo fondamentale nell’accettare e adottare una tecnologia. In The Digital Box sviluppiamo tecnologie per il marketing, la comunicazione e il service aziendale da oltre 7 anni. Tutti i giorni dialoghiamo con oltre 7000 clienti business in 5 continenti del mondo. Abbiamo imparato dai bisogni e dalle necessità di marche e organizzazioni. Siamo arrivati alla conclusione che le tecnologie, per quanto sofisticate, da sole non bastano più. Le imprese non sono pronte a soddisfare le nuove modalità di interazione che le persone si attendono. Oggi, nel panorama digitale, ci sono tre elementi che non possiamo ignorare nelle strategie di comunicazione: il Mobile (come canale e contenuto), i Social (come luoghi naturali delle nuove relazioni digitali) e l’Intelligenza Artificiale (come potenziatore delle conversazioni stesse su più punti di contatto). Il Convergent Marketing® insegna ad integrare, in modo convergente, canali e contenuti attraverso 7 passi che consentono di: creare esperienze di contatto innovative, generare interesse, convertire e fidelizzare il pubblico con contenuti progettati per il mobile, il ruolo attivo dei social e le conversazioni automatizzate con assistenti intelligenti.

L’intelligenza artificiale ha un livello che è da considerarsi senza ritorno: la singolarità. L’idea che le macchine raccontino storie le avvicina a quel tratto distintivo che ha reso l’umanità in grado di accrescere le proprie risorse e competenze fino al livello attuale. Ci conviene renderle capaci di narrare?

Non so se ci conviene rendere capaci le macchine di narrare. So però che accadrà, tanto vale capirne di più. Oggi un assistente virtuale va istruito, formato. Ha bisogno di apprendere dall’uomo che ne cura i dialoghi e definisce l’intera esperienza di contatto con le persone rendendole coinvolgenti ed emozionali. Le parole, il racconto, la narrazione diventano indispensabili per i progetti basati sull’Intelligenza Artificiale conversazionale. Non più risposte asettiche di chatbot a domande preimpostate ma un fluire continuo di storie brevi, semplici e accattivanti. Da qui la riscoperta di professionalità dai profili umanistici (linguisti, scrittori, sceneggiatori) per figure professionali nuove ma già richieste. Come ad esempio il Conversation Designer: il progettista delle esperienze utente in linguaggio naturale, il cui ruolo – tra gli altri – è assimilabile a quello di un copy impegnato nella scrittura di un copione con due soli protagonisti: la persona e l’assistente virtuale. In un rapporto che vede l’uomo in primo piano. Rendere proattive le conversazioni diventa il valore aggiunto degli assistenti virtuali di nuova generazione ma per scongiurare il pericolo che le persone restino deluse nell’esperienza è importante lavorare bene sui nuovi canali di narrazione oggi disponibili.

Chiudiamo con una previsione: quanto tempo ci manca per arrivare a un’intelligenza senziente e se scenari come quelli visti nel film Her sono preventivabili.

Non sono molto bravo nelle previsioni, non ne ho mai beccata una ;-). È un dato di fatto, però, che libri e pellicole hanno romanzato l’impatto delle tecnologie di Intelligenza Artificiale, e della robotica, nelle nostre vite. E per certi versi continuano a farlo. Molto spesso in questi racconti prevalgono il timore e la paura. Governo del mondo da parte di umanoidi ribelli, dipendenza anche affettiva dalle macchine, sembrano per lo più incubi prospettici. L’Intelligenza Artificiale è la nuova frontiera, non c’è guru che abbia bisogno di confermarcelo. Lo sperimentiamo, in più d’una occasione, nelle nostre vite di tutti i giorni. Ritengo sia molto utile conservare un approccio costruttivo al fenomeno. Se uomini e macchine saranno chiamate a convivere – e non c’è motivo di credere il contrario – è opportuno imparare da subito a trarre il meglio da queste tecnologie, senza pregiudizi.

Intervista a cura di Francesco Gavatorta