In uno sperduto villaggio della brughiera, tre sorelle scrivono tre romanzi che avrebbero fatto la storia della letteratura inglese. Una di loro era Charlotte Brontë, madre di Jane Eyre. Pubblicato nel 1847 sotto lo pseudonimo di Currer Bell, ebbe un successo immediato e risultò uno scandalo: Jane non era la consueta eroina vittoriana. Ricco di sfumature gotiche, Jane Eyre narrava le vicende di una ragazza piccola e modesta, trasportata da una passionalità d’animo inconsueta per lo standard della figura femminile dell’epoca, dal carattere schietto e travolgente, decisa a cercare una sua identità ed indipendenza (anche economica).

Il romanzo attirò su di sé parecchi riflettori, andando anche a colpire diversi intellettuali fra i quali William Trackeray, che la stessa Charlotte poi incontrerà a Londra, dopo essersi rivelata ai suoi lettori.

Orfana, presa di mira dalla zia crudele, Jane finisce in un collegio, di quelli alla Oliver Twist, dove patirà freddo, fame, dure punizioni. Nonostante l’alone della morte l’accompagni in tutte le sue vicissitudini, Jane riuscirà a diventare un insegnante e ad essere chiamata come istitutrice presso Thornfield Hall, per la figlia del signor Rochester. Cupo, misterioso, incarnante le atmosfere gotiche dell’epoca, Rochester appare fin da subito un uomo difficile, enigmatico, che nasconde in sé un ardore profondo. Attirata da questo fuoco, Jane non può che innamorarsene.

Autobiografica la storia, anche Charlotte è inseguita da amori impossibili e difficili. Amerà un uomo sposato, un professore in Belgio, e dovrà aspettare due anni per sposare il reverendo Nichols. I Brontë perdono la madre molto piccoli e alcuni di loro, compresa Charlotte, saranno costretti a frequentare un duro collegio, dove due sorelle moriranno.

La malattia, l’amore, il dolore e la solitudine sono topic ricorrenti nella vita di Charlotte e di Jane. Entrambe si trovano a dover combattere da sole per la sopravvivenza. La stessa Charlotte soffrirà di depressione, ma riuscirà a donare alla sua eroina un carattere più saldo e deciso, capace di restare ancorata a terra con le sue radici.

Trailer di Jane Eyre di Franco Zeffirelli (1996)

Questo romanzo iconico ha ispirato numerosi versioni cinematografiche sin dal 1910. Le più importanti sono sicuramente quella a cura di Franco Zeffirelli del 1996 e la più recente di Cary Fukunaga con Michael Fassbender e Mia Wasikowska.

Il film di Fukunaga comincia in medias res, Jane vaga per la brughiera dopo essere scappata da Thornfield, ha dopo aver scoperto il segreto che nasconde Rochester: la prima moglie Bertha, ormai totalmente folle.
Da qui la pellicola si dipana, tornando indietro e seguendo passo dopo passo la storia della piccola Jane, dal collegio al suo lavoro, dalla passione per il padrone sino al finto matrimonio e alla decisione di fuggire. Il finale è ormai storia, il regista ha di proposito accentuato l’elemento goticheggiante nel film, la voce che Jane sente e avverte sembra provenire dal suo stesso fuoco interiore, è un lamento, un desiderio, un ardore. Rochester la chiama a sé, la tira da quel filo che li tiene legati l’uno all’altro, sino ad intrappolarla ancora una volta.

È come se avessi una corda da qualche parte qui nel petto, a sinistra, legata stretta a una corda simile che si trova dentro di voi, nello stesso punto. E se il mare burrascoso e le duecento miglia e più di terra venissero davvero a trovarsi tra di noi, ho paura che questa corda che ci unisce possa spezzarsi. In quel caso… non farei che sanguinare dentro di me.

Charlotte dipinge Jane come una donna che seppur appaia fragile per la sua gracilità esteriore, è in realtà forte, intraprendente, resistente alle intemperie della vita. Un carattere dominante che riesce a rialzarsi ogni volta che la sua esistenza viene sconquassata dal dolore, a ogni singolo colpo, sin da bambina, Jane ritrova quella spinta interiore per sopravvivere. Nonostante il dolore del matrimonio finto e della separazione da Rochester sia dilaniante, è ancorata con le unghie al terreno, aggrappandosi alla vita, a quel piccolo barlume di luce intravisto fra le tenebre.

Nel 1847 una donna così audace tale da confessarsi a Rochester per prima, non poteva che scaturire una forte reazione tra i suoi lettori.  Se pensiamo alla remissività della maggior parte del genere femminile, alle opinioni chiuse del pubblico maschile, Charlotte Brontë aveva un gran bel cervello, capace di viaggiare anni avanti, dando alla donna un ruolo più decisionale, e non quello della solita principessa da salvare in balìa degli eventi.

Mia Wasikowska è riuscita a donare quella dualità giusta al personaggio di Jane. Charlotte comunque non si sottrae nel denunciare le fragilità che incorrono anche in un animo così bruciante. Siamo tutti umani. E la Wasikowska incarna quella figura eterea votata alla solitudine e al silenzio che nella sua tela nasconde profonde passioni, facendoci scorgere solo in alcune occasioni cosa si cela dietro l’abito esteriore.

Trailer di Jane Eyre di Cary Fukunaga (2011)

Il dualismo di Jane le dona una caratterizzazione profonda e radicata. Charlotte lascia intravedere i solchi lasciati dal dolore dell’infanzia e della perdita, ma aggiunge lava a quei tagli che alimentano l’anima. Ritrovarsi in Jane, anche a distanza di secoli, non è così inusuale, quell’indecisione che diventa forza, quei difetti che vengono accentuati e diventano potere, quella fragilità che si trasforma nel bastone a cui aggrapparsi e darsi la spinta per andare avanti. Jane è una donna con degli obiettivi, con una prospettiva, portatrice di un’idea del tutto rivoluzionaria per il suo tempo dove l’aspettativa maggiore era quella di accaparrarsi un buon marito e sfornare figli.

Nonostante le proposte che riceve prima da Rochester di vivere con lui anche in presenza della moglie e poi quella di matrimonio dal reverendo Rivers, Jane rifiuta dapprima una potente passione che però non sarebbe legale e poi un dovere privo di slancio erotico.  Jane Eyre ha una sua scala di valori e non accetta compromessi, rompendo anche ciò che più brama. È una donna indipendente, capace di affrontare il mondo da sola, pur rispettando se stessa.

Rochester (Fassbender magistrale), invece, mantiene il suo alone di mistero; austeniano nelle sue dichiarazioni d’amore, seppur con una fetta di realismo in più. C’è molta più schiettezza nelle sue parole, a volte anche crudeli, e va sempre dritto al punto, cercando di incatenare la sua preziosa falena. Rochester è il classico personaggio che a fine film o romanzo paga per i suoi peccati e lascia lo spettatore soddisfatto per aver scontato la sua pena. Solo così può meritarsi il tanto agognato happy ending.
Nelle storie funziona in questo modo: il pubblico è giudicante e come Dio punta il dito contro chi ottiene troppo facilmente ciò che vuole dalla vita. La realtà è sofferenza e per quanto la finzione se ne discosti, nasconde in sé quel fondo di verità che non può essere ignorato. La stessa Jane solo dopo aver patito ed essersi purificata per aver desiderato un uomo già impegnato, può tornare a casa e avere la sua felicità. Il finale è così più agognato, più desiderato e più amato da tutti gli spettatori.

A differenza del libro, dove ovviamente è la sensazione ad accompagnarci, pagina per pagina, nel film è enfatizzato l’elemento gotico ed onirico del romanzo. Lo stesso regista ha affermato che ha “speso molto tempo rileggendo il libro e cercando di sentire quello che Charlotte Brontë sentiva mentre lo scriveva. C’è un qualcosa di sinistro che affligge l’intera storia… ci sono stati qualcosa come 24 adattamenti, ed è veramente raro che si veda questa sorta di lato più oscuro. Lo trattano come se fosse soltanto un romanzo d’epoca, e io penso che sia molto di più.”

Fukunaga e la sceneggiatrice Moira Buffini tengono conto del punto di vista della scrittrice, del suo background e di ciò che la circondava durante la realizzazione del romanzo. Le vicende personali, la depressione, le atmosfere della provincia, hanno sicuramente avuto un peso nella scrittura dei personaggi, nella loro profonda psicologia e nella trama. La stessa moglie di Rochester rappresenta la diversità e il modo in cui il mondo esterno la percepisce, Bertha è portatrice di una condizione mentale non sana e questo la aliena al resto dell’umanità: per il 1800 era normale rinchiudere la follia e buttare la chiave senza cercare di comprenderla, è un atteggiamento che non è purtroppo migliorato nella società. La stessa Charlotte probabilmente ne ha una posizione combattuta, anche in base alla sua condizione.

Il film grazie al suo ottimo cast (ricordiamo la grande Judi Dench nel ruolo di Mrs. Fairfax), alle ambientazioni, ai costumi e alle musiche di Dario Marianelli, resta un piccolo capolavoro, che segue molto da vicino il romanzo della Brontë. L’obiettivo di Fukunaga era proprio quello di non discostarsi troppo dalla prosa e dalla trama di Charlotte, permettendo al lettore di ritrovarsi e allo spettatore di godersi lo spettacolo. Nonostante l’inizio in medias res, trucco per mantenere viva l’attenzione, la pellicola scorre e regge la portata di un romanzo così importante.

Jane Eyre resta un punto di riferimento della narrativa e non può non essere letto, anche solo per apprezzare la prosa corposa, filosofica e ritmata dell’autrice o per gustarsi il carattere della nostra eroina e le sue taglienti conversazioni con Rochester. Ma anche il film di Fukunaga è una valida alternativa per godersi un capolavoro e lasciarsi trasportare da quelle emozioni che solo il cinema può regalare.

Io devo badare a me stessa. Quanto più sono sola, quanto più priva di amici, quanto più indifesa, tanto più devo rispettarmi.

Ilaria Amoruso