Torino, fine ’800. Francesco è un bambino come qualsiasi altro, non è ricco ma nemmeno il più povero. È un figlio dell’era moderna, quella dell’industria, quella che sa un po di carbone e un po’ di invenzioni. La sua casa è umile, come la sua famiglia. Non è il primogenito, e se la passa un po’ male per questo. È l’ultimo problema a cui trovare un ruolo per sopravvivere. 

A fine ’800 studiare non ti fa la pancia piena, per questo viene avviato all’attività di suo padre e dei fratelli come aiuto falegname. Francesco, il bambino qualsiasi, ha però una fame diversa. Osserva, è curioso, subisce ma impara, fa domande, troppe e poi vuole ribellarsi a questo stigma di ultimo arrivato. All’inizio sembra già destinato alla fine. 

Invece trova qualcuno che crede in lui, un signore di quelli ricchi, intellettuali. Lo farà studiare, gli darà modo di sognare uno spazio più a misura di Francesco, gli metterà in mano una cosa che all’epoca è di lusso, la scelta. Come ogni scelta dovrà rinunciare al suo passato, comprese le poche cose belle che ha vissuto, come la dolcezza di una mamma. 

Francesco diventa grande, un signore. Inizia a districarsi tra le prime relazioni, fa l’ ingegnere di macchine alla Fiat e si nutre del meglio che quel secolo ha da offrire, l’arte di innovare l’automobile. Si sposa, ha tre figli, e l’ultima gli ruba il cuore. Sembra finalmente sulla curva opposta dell’inizio della sua vita. È felice. 

Ma poi un incidente cambia tutto. Dovrebbe morire ma non muore. Apre gli occhi con in mente le ultime immagini, quelle che gli suggeriscono della sua fine. Vede una donna, con occhi meravigliosi, gli parla in una lingua che non è italiano. È francese. Perché si trova in un ospedale francese? 

E qui la situazione si fa interessante. 

Non solo si trova in Francia, ma si rende presto conto che il suo corpo non gli somiglia. La sua esistenza è entrata nel corpo di qualcuno che non c’è più, che e’ effettivamente morto più di lui. 

La paura, l’incomprensione, l’inevitabile. Come ci si spiega questo scherzo di Dio? Se ti resta solo la mente del tuo Sé iniziale, come affronti un’esperienza così estraniante? Il nuovo corpo ha una storia non tua, dei famigliari non tuoi, un contesto non tuo. 

Spogliato della materia che fa di lui stesso Francesco, come può proseguire senza il volto che ne definisce l’identità?

Il viaggio di Francesco non si fermerà all’esistenza parigina. Sarà solo la prima delle vite che riveste. A volte si trova nel corpo di un bambino, a volte in una donna. Ci cresce dentro, ne ribalta i rapporti con le persone che gli stanno attorno, d’altronde è sempre la persona di Francesco il filo conduttore. 

All’esistenza appena acquisita si sovraporrà quella vecchia, i suoi ricordi, i suoi amori, le sue teorie, perfino i suoi averi. Attraversa il ‘900 a bracciate, una vita, poi l’altra. Immagazzina ricordi, galoppa il sapere. L’intreccio si intensifica ad ogni filo aggiunto ed in parallelo vive la storia dell’umanità, la grande guerra, la resistenza, il post modernismo. 

Avrà mai fine per lui questo tour? Come si continua a vivere senza l’idea di una fine?

La distrazione di Dio di Alessio Cuffaro è avvincente, la scrittura leggera, ritmata, piacevole. 

Gli incontri, gli attori ed i corpi sono psicologicamente ben definiti, hanno il gusto dell’imperfezione che ne dà carattere.

La trama accompagna gentilmente il lettore in un vicolo apparentemente senza uscita. Ma ponendo un dubbio sull’intersecarsi dell’anima, della mente e del corpo spinge il pensiero ad aprirsi proprio dove lo schema si appoggia al dato di fatto.

Nella sua semplicità tocca con caparbia uno dei quesiti più vecchi dell’umanità, il senso della vita quando questa non ha una morte.

Micaela Bosetto

Autori Riuniti è una delle case editrici intervistate da Marco Grasso per il nostro Catalogo dei piccoli e medi editori.