Sara Mesa ritorna, dopo tre anni di attesa, a farci sognare con la sua scrittura semplice e allo stesso tempo dinamica, potente e catartica, grazie alla quale ognuno dei lettori può ritrovare un po’ della propria esistenza nelle vite dei personaggi che popolano i suoi scritti.

La famiglia di Sara Mesa, pubblicato da La Nuova Frontiera nel febbraio di quest’anno con la traduzione dallo spagnolo di Elisa Tramontin, è un romanzo attento, deciso e, soprattutto, non giudicante.

I protagonisti di questo libro appartengono allo stesso nucleo familiare, sono tutti cresciuti nella stessa asettica e disadorna abitazione, sotto l’attenta e decisa egida di un padre, poco incline alla mediazione con l’altro.  

Guardala dall’occhio del sogno. Il corridoio come centro geografico e frontiera. Stanze sui due lati […]
Guardala bene, prima di svegliarti. I punti ciechi e le tane. Parole che significato l’esatto contrario di ciò che sembrano, sibilline. […]
Guarda con attenzione, ma non dire niente.
Solo guarda e impara.

L’incipit del romanzo inaugura la narrazione del luogo domestico, quello in cui l’infante impara a riconoscere l’altro, il suo punto di vista, le sue emozioni; il luogo in cui ogni essere umano forma la propria identità, in cui si intessono relazioni profonde fondate sulla fiducia nell’altro; il luogo in cui ci si dovrebbe sentire protetti, al riparo dagli imprevisti e dalle vicissitudini del caso.

Non è certamente così per la famiglia descritta dall’autrice, una famiglia che non abbraccia e non consola, quella in cui il calore umano cede il posto alla rigidità dei gesti e all’apatia dei sentimenti.

Padre – il capofamiglia – non è una persona violenta né autoritaria; anzi, il suo sembra essere un carattere temperato e calmo, incline al dialogo e all’ascolto. È qui che Sara Mesa rivela il carattere subdolo della costrizione paterna: Padre non alza la voce, non minaccia verbalmente i propri figli affinché obbediscano. I suoi sono moniti mascherati da consigli, offerti con toni docili e modi gentili e, dunque, ancor più incisivi.

I suoi figli sono costretti a rinunciare anche alle più piccole cose (come la televisione) che non rientra – a detta di Padre – in uno stile di vita consono e sano.   

Damiàn, il più grande, era quello più influenzabile, cercava sempre di piacere e non ci riusciva mai, mentre Rosa, spesso imbronciata, cocciuta e ostile, voleva solo che la lasciassero in pace. Aquilino, il più piccolo, era di gran lunga il più simpatico e il più sfacciato, e anche il più sveglio, aveva imparato a muoversi con disinvoltura in acque così difficili. Ciononostante, tutti e tre erano segnati da una profonda e remota ignoranza, per la privazione di una conoscenza puntuale che va al di là di quelle mura. Era incredibile, pensò lo zio Oscar, che neanche la scuola offrisse loro un confronto sufficiente.

Oscar è il fratello di Madre ed è uno dei pochi osservatori esterni in grado di offrire al lettore una descrizione lucida e oggettiva degli effetti malsani che Padre ha sui suoi figli.

Lo zio Oscar spera che, affacciandosi all’adolescenza, possano trovare una propria dimensione, estranea all’influenza paterna.

Non sarà così per tutti!

Damiàn, infatti, tradirà sé stesso pur di piacere a Padre. Uomo (apparentemente) sicuro di sé, rigido, fortemente laico, si fa portatore di un Progetto che rischia di spazzare via anche quel briciolo di umanità che lo contraddistingue. Accecato dalla sua vanità, ripercorre le orme paterne, non considerando la volontà di sua moglie né tantomeno la sua viscerale sofferenza, in seguito alla depressione post partum che la colpisce.  

Emblematica in questo senso è la copertina del libro, illustrata da Giuseppe Conti, in cui i volti dei personaggi sono cancellati da grossolane macchie di inchiostro, tanto da renderli quasi inumani ed estranei all’altro.

La penna di Sara Mesa descrive lucidamente l’ambiente asfissiante in cui i personaggi del libro si muovono, senza esprimere alcun giudizio negativo. Approfondisce i ritratti psicologici di ciascuno, sottolineandone le fragilità, causa delle azioni talvolta repressive nei confronti degli altri.

Una narrazione impattante e forte, capace di suscitare emozioni contrastanti in ciascun lettore.

Anna Rita Ambrosone