Le parole, le mie migliori amiche e alleate, mi avevano abbandonata. Avevo sempre vissuto in un universo di storie e parole, le parole erano la mia scialuppa, la mia vela nell’immensità delle acque.

Alcuni libri ci parlano molto, ci immergono in storie che sentiamo nostre, creano una corrispondenza emotiva potente e finiscono un po’ per appartenerci. Forse perché parlano alla parte profonda di noi, a quella porzione dell’anima che non conosceremo mai del tutto e che ogni tanto ci appare, svolazzante e inafferrabile, e ci fa dire “Sono proprio io, questa persona? è proprio mio questo sentire? E quando ho imparato tutto questo di me? “.

La guerra di Nina di Imma Vitelli, reporter che per anni mi ha condotta per mano sui fronti infuocati del mondo con i suoi reportage, mi ha portata ad Aleppo. Mentre leggevo ho sognato la guerra. La parte più profonda di me si è messa in moto e mi ha sbalzata in mezzo alle macerie. Non ne ho mai vista una – ho pensato al risveglio – di guerra. Ma ne ho combattute tante, alcune insensate e feroci, soprattutto contro me stessa, contro il mio corpo, contro i miei limiti e le mie fragilità. Scendendo con Nina tra le macerie della Siria ho ricordato bene quell’ossessione che mi correva dietro A volte avevo la sensazione di avere dentro delle fazioni di guerra, il fegato combatteva contro i reni, il cuore contro il cervello. Perché è contro il cuore che lotta sempre il cervello? Ho dormito con Nina al buio e al freddo di una cella in un tempo immobile e tormentato, ho calpestato la sabbia entrando, sudato freddo, avuto male alle anche. Ho sentito il suo odore nauseante, mi sono chiesta “ma quanto tempo è passato? da quanto tempo sto qua dentro” insieme a lei. 

Leggendo il libro di Imma, che insegna scrittura nei laboratori La Cura delle parole, ho capito quello che dice ai suoi allievi tirando fuori storie come una levatrice: “Bisogna scrivere dei mondi che conosciamo, della vita che abbiamo vissuto. E bisogna scrivere con tutti i sensi: con le orecchie, con gli occhi, col naso, col sapore del ferro perché ti sei morsa la lingua”.


Ho avuto curiosità per tutte le storie che citava e per la musica che Nina ascoltava come ho avuto bisogno urgente di ricostruire una mappa di equilibri geopolitici che a volte, da dietro un pc, sembrano tutti un’unica storia ingarbugliata. Ogni tanto i flashback di Nina hanno parlato alla ragazza fragile e insicura che sono stata. Non poteva che essere così perché Nina mi riportava un momento nella mia terra, a quel giallo e a quel blu che non c’è uguale altrove. E anche al buio profondo che sa emanare a seconda di come sta il mio cuore. E poi quella sensazione che per anni mi ha accompagnata, l’attesa eterna della grande partenza che avrebbe sanato ogni ferita, colmato ogni vuoto, sfondato le sbarre di ogni prigione (reale o immaginaria). Per qualche ragione ricordai la vecchia abitudine che avevo da bambina di contare i giorni, i mesi e gli anni che mi separavano dalla Partenza. Questa, non era necessario specificarlo, era la fuga che avrei intrapreso al compimento dei miei diciotto anni. Non era importante la destinazione, piuttosto la distanza che senza un perché avevo stabilito non potesse essere inferiore a 500 km dalla casa della mia famiglia a Matera.  Ho seguito con fiducia sconfinata il filo rosso che Imma ha srotolato in questa storia di amore e di guerra, di ossessione e bisogno di superare ogni limite, curiosa di sapere come sarebbe finita con Omar, eroe tenebroso dal passato oscuro.

Nella guerra di Nina ci sono tante donne in una stessa protagonista: la reporter, la donna, la bambina, la figlia, l’amante. La madre di sé stessa e delle persone che sa accogliere con dolcezza ed empatia smisurate. (Ma è Nina o Imma questa donna? Non importa, non è il punto). Molti troveranno in questo libro soprattutto una storia di guerra scritta in modo magistrale;  io in questo viaggio adrenalinico ritmato dal rumore delle bombe, dei razzi e dell’artiglieria ho pianto quando ho visto comparire tra le pagine anche tutti quei papà capaci di tenerezza che con la loro ironia ci hanno portate in salvo, al lido Serena. Uomini allegri e scanzonati che ai treni hanno avuto il coraggio di lasciarci andare dicendo “mi raccomando figlia mia, diventa chi vuoi diventare”. È così che, per me,  La guerra di Nina è diventata una storia universale perché mi racconta la storia di donne che hanno scelto di chiedersi chi sono e cosa sarebbero volute diventare prendendosene il rischio.

Giovanna Solimando

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