È appena nata (nel 1998, ndr) l’ultima testata targata Bonelli: Julia.
Prima di soffermarci sul lavoro di Giancarlo Berardi, il creatore di Julia, è bene ricordare il proliferare di testate sotto il marchio Bonelli negli ultimi tempi. Precisamente, nel corso di poco più di un anno, la Bonelli ha ulteriormente diversificato la sua offerta aggiungendo ai suoi personaggi storici altre serie, altri temi. Magico Vento, Napoleone, Brendon e adesso Julia nata questo ottobre già con una cadenza mensile. La cosiddetta «fabbrica Bonelli» procede a lunghi passi sulla strada delle serializzazione d’autore. È un dato di fatto che il mercato del fumetto è quanto mai instabile, ma, nel persistere della sua politica espansiva, la Bonelli ha senz’altro dalla sua il richiamo del marchio prestigioso e di autori ben collaudati. Tra gli ultimi Manfredi, Ambrosini, Chiaverotti, e buon ultimo Giancarlo Berardi. Sergio Bonelli ha sempre avuto un occhio di riguardo per Berardi, fin dal 1977 esordio, in coppia con Ivo Milazzo, di Ken Parker, edito dalla sua Cepim. Continuando a promuovere Ken fino alla sua chiusura definitiva, avvenuta agli inizi di quest’anno.
Un anno che sembrava essere iniziato male per Berardi, ma Julia era già nel cassetto, si può dire, da sempre. Non la prima donna protagonista della Bonelli, ma la prima criminologa, con il volto di Audrey Hepburn sensibile, ma decisa, accompagnata da una governante-madre con i tratti di Woopy Goldberg e da un detective molto somigliante a John Malkovich. I presupposti c’erano tutti, per Berardi, a partire dalla sua tesi sul romanzo poliziesco, da Marvin il detective, da Tom’s Bar, suoi personaggi minori, ma anche dallo stesso Ken, con alcuni dei suoi più riusciti intrecci identificabili come abili trasposizioni della detection nel genere western.
Julia parte sicuramente con qualcosa in meno e in più. In meno perché si porterà dietro la nomea di chi ha definitivamente seppellito Ken Parker, almeno per i parkeriani più accaniti. Quel qualcosa in più, che già traspare dal primo numero, sono l’enorme mole di lavoro e di esperienza che Giancarlo Berardi ha collezionato lavorando non solo per la Bonelli, ma anche sulle riviste d’autore degli anni ottanta: Comic art e Orient Express, entrambe sparite, ma solidi punti di riferimento per il lettore di fumetti di qualche annetto fa.
Dopo una così brillante partenza sembrerebbe un delitto criticare Julia. Noi ci soffermeremo solo su quello che risulta più evidente dalla lettura del primo numero, tenendo presente che siamo solo all’inizio ed è ancora presto per formulare giudizi definitivi.
Saltando la caratterizzazione del personaggio, (chi vuole troverà forse ancora il primo numero), è sulla struttura stessa del fumetto, sulla conduzione della trama, sulla sceneggiatura del soggetto che si appunta il nostro sguardo. Non dimenticando che per il 90 per cento delle volte è lo sceneggiatore, in questo caso Berardi, che dà le indicazioni di montaggio e di sequenza al disegnatore, un incisivo Vannini, tanto di cappello a Berardi. Ottimo il primo piano degli occhi, l’incipit del piano sequenza che arriva fino alla sesta tavola. Niente da ridire su tutta l’orchestrazione dell’intreccio: ben curato e con un occhio in più al cinema come è solito di Berardi. Forse ci aspetteremmo una storia meno ovvia, trattandosi di Berardi, ma nessuna vera delusione. La trovata di reintrodurre il pensiero interno al suo lavoro era ovvia visto il genere thriller, come al solito nessun balloon con le bollicine. Stavolta Julia parla con il suo diario ed è attraverso la sua calligrafia che notiamo la precisione maniacale, l’occhio al dettaglio, la sensibilità che contraddistinguono un prodotto che Berardi cerca sempre di rendere appetibile ai due livelli del lettore colto e di quello più interessato all’intreccio che alle citazioni. Citazioni esplicite solo nella caratterizzazione di personaggi, ma tutte interne al genere, per adesso. Cosa dire? Aspettiamo frementi il secondo numero per un qualcosa in più, mai in meno!
Virginiano Spiniello
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