Andrea G. Pinketts, scrittore stravagante e originale, costituisce una voce importante nel panorama noir italiano. A parlare è Lazzaro Santandrea, suo alter ego, protagonista dell’intera produzione giallista dell’autore che potremmo definire una sorta di enciclopedia del serial killer. In un’occasione Pinketts dirà: «Il mio protagonista, Lazzaro Santandrea, è un avventuriero della vita. Ha i miei ricordi, i miei gusti, i miei amici e le mie reazioni. Ma le storie che racconto sono le sue.»
Pinketts è nato a Milano nel 1961 e sin da ragazzo ha sempre amato scrivere e ha cominciato prestissimo a pubblicare sui giornali. Con tre racconti ha vinto tre edizioni del Festival nero Mystfest e a soli 24 anni aveva già pronto il suo primo romanzo, ma sono gli anni ’80 e per scrittori italiani emergenti non era affatto facile pubblicare. Così questo primo romanzo deve aspettare sette anni per trovare un editore, l’esperienza è felice e Lazzaro vieni fuori (1991) sarà il primo dei quattro libri a cui Andrea G. Pinketts, con eccezionale bravura, dà vita.
Il suo ultimo (nel 1998, ndr), Il conto dell’ultima cena (Mondadori), è ormai divenuto un best seller e a proposito di questo, così si esprime Fernanda Pivano: «Fra i tanti miracoli veri e falsi raccontati in questa storia, l’unico certo è il talento di Pinketts.»
In occasione di una serata sul genere noir che si è svolta poco tempo fa a Torino, ho avuto modo di incontrare lo scrittore che ha concesso a Ex libris una simpatica intervista.
Due parole sul tuo ultimo libro.
Il conto dell’ultima cena è un libro sulle apparizioni. Sostanzialmente si tratta della difesa del profano anziché del sacro: è la testimonianza che spesso è meglio essere fallaci ma umani che non avere rapporti con il sovrumano, che probabilmente ha qualcosa di mistico, ma che è anche pericoloso e fuorviante. Insomma è meglio che la Madonna non ti appaia… !
Hai affermato che il mistero legato all’indagine de Il conto dell’ultima cena era in assoluto il Mistero poiché sono le apparizioni miracolistiche e comunque il sacro a essere materia con cui il romanzo si veste. Aver trattato quindi il Mistero assoluto significa che hai ormai assolto al compito di narrare di mistero?
Sì, il Mistero assoluto è stato risolto, tuttavia ce ne sono altri e comunque risolvere il mistero non è mai una soluzione definitiva alle mie storie che non finiscono certo con «e tutti vissero felici e contenti» ma lasciano disagio e inquietudine: ti sei liberato di un mostro ma sai che nel libro successivo ce ne sarà un altro.
Questo significa che hai già qualche idea sulla prossima pubblicazione?
C’è già, però uscirà nel 2002. Posso dire il titolo: L’assenza di assenzio.
Hai mai vissuto personalmente delle vicende che avessero a che fare con il mistico?
Sì, anche io ho le stigmate. Me le procuro ogni volta che scrivo; perché come i bambini mi macchio di inchiostro. Comunque, da profano nutro un certo interesse per il sacro. Pensiamo al nome del protagonista di tutti i miei libri, Lazzaro Santandrea, pensiamo al Vizio dell’Agnello che è l’agnello sacrificale; Lazzaro vieni fuori è la parola che si fa carne; infine Il conto dell’ultima cena si commenta da sé. Sì, in me c’è un interesse profano: non credo ma sono curioso. Nel 1985 mi sono battezzato mormone perché non volevo più essere cattolico e perché ritengo che i mormoni abbiano un approccio positivo con la religione; certo ho evitato di bere e fumargli in faccia.
Quando hai capito che il genere al quale eri più versatile era il noir?
Non lo so, dopodiché per me noir vuol dire tutto e nulla, certamente i temi del noir sono la vita e la morte e quest’ultima è certamente un mistero. La miscelatura di tensione noi oggi la chiamiamo noir, ma esiste da prima che questo genere venisse codificato. Pensiamo a Dostoevskij, potrebbe essere definito benissimo uno scrittore noir. L’elemento importante è la tensione, che avvince il lettore, non tanto la presenza o meno di delitto.
Il fatto che Lazzaro Santandrea vada sempre incontro alla tensione, si ponga in continua sfida con la morte, ha qualcosa a che vedere con il tuo personale rapporto con quest’ultima?
Io temo la morte come cessazione, non tanto in me; quanto invece per le persone che mi sono care. Per quanto riguarda la morte dei miei libri, questa non è mai un punto d’arrivo quanto piuttosto un punto di partenza: il delitto infatti genera l’indagine e quindi potremmo dire che si tratta di una morte pretestuosa.
Come mai hai scelto il tuo letto come luogo in cui far consumare l’omicidio di Pepita, che nel romanzo è la tua compagna, e forse qualcosa che ha a che vedere con il concetto di sublimazione di Amore-Morte?
È che il personaggio di Pepita è anche un enorme rompimento di coglioni, quindi…
Qual è il rapporto di Andrea G. Pinketts con l’amore e le donne?
Ottimo, è il caso di dire che non pongo limiti alla provvidenza.
Ti è capitato personalmente, che delle vicende sentimentali siano poi diventate spunto per delle storie nei tuoi romanzi?
Sì spesso, ma solo quando le storie sono finite. Non riesco a scrivere di una persona che sto amando in quel momento perché è come se la consumassi.
I tuoi amici sono contenti di diventare personaggi, nelle tue storie?
Alcuni sì, altri no. Anzi, alcuni li ho persi. A esempio Vito Carta è un mio amico sardo che chiamo «l’aborigeno», e che per questo si è offeso a morte e non mi invita più alle sue cene. Invece il mio amico Pogo, lui è veramente uno scombinato, lo conosco dal 1974.
Qualcuno parlando di te, lo fa dipingendoti un po’ come una sorta di «scrittore maledetto», ti ritrovi in questa definizione?
Sì, sono maledetto soprattutto da mia madre quando litighiamo.
Intervista a cura di Paola Mazza
Il libro
Andrea G. Pinketts
Il conto dell’ultima cena
Mondadori 2018
Collana: Oscar gialli
488 p., brossura
€ 15,00
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