Ho faticato un po’ ad approcciarmi al romanzo di Francesco Ferracin, La Leonessa. Ho giudicato il libro dalla copertina, come si suol dire, o meglio dalla trama, letta distrattamente: non avevo proprio voglia di leggere d’amore.

L’ho tenuto lì per un po’ sul comodino, lo scrutavo con diffidenza. 

Finché, complice un lungo viaggio in treno, ho deciso di affrontarlo e sono stata sequestrata dalla storia, che si ispira a fatti realmente accaduti, di Friederike “Rike” Beck.

Il libro è suddiviso in quattro parti, che seguono la vita della protagonista: cambiano i personaggi che la accompagnano, il luogo in cui vive, la voce narrante. Scelta quest’ultima che trovo molto originale e che mi ha piacevolmente sorpreso.

La prima parte riguarda gli anni fra il 1953 e il 1959, è narrata in terza persona e racconta la giovinezza di Rike, il suo ingresso nell’età adulta. In questi anni conosce Klaus, il suo primo marito e il padre della sua prima figlia. Una storia d’amore giovane, inesperta, che la trascina in un baratro di abusi da cui riesce con coraggio a tirarsi fuori.

La seconda parte è ambientata nella Berlino Est fra gli anni 1959 e 1964: qui Rike si è trasferita per frequentare Università di Potsdam e ottenere un futuro migliore per sé e per la sua bimba. Scopriamo l’evolversi delle vicende attraverso la corrispondenza che scambia con le persone a lei care. In questi anni conosce Alexander Onyemo, uno studente di ingegneria nigeriano. I due non potrebbero essere più diversi tra loro ma, contro ogni convenzione sociale, Rike e Alex cominciano a frequentarsi, si sposano e si trasferiscono a Enugu, in Nigeria, dove Alex è destinato a ricoprire una posizione di prestigio presso la più importante compagnia mineraria del paese.

Nella terza parte ci troviamo in Nigeria, fra il 1964 e il 1967: Rike racconta in prima persona lo shock culturale provocato dall’impatto con l’Africa. In pochi mesi, però, entra a far parte dell’élite locale, composta soprattutto da bianchi occidentali: uomini d’affari con le loro mogli, diplomatici, spie.

Nella quarta e ultima parte, ambientata in Biafra fra il 1967 e il 1968, assistiamo, pagina dopo pagina, al degenerare della situazione politica, con lo scoppio della guerra e la forte crisi umanitaria che ne segue: una popolazione affamata e massacrata sotto lo sguardo indifferente del mondo intero. È stato tristemente inevitabile pensare a ciò che sta accadendo oggi, con la differenza che lo sguardo indifferente, questa volta, è il nostro.

Ho divorato il libro, non riuscendo più a staccarmi. Questa non è “solo” una storia d’amore: è la storia di una ragazza che diventa donna, una leonessa che non smette di lottare per sé, per il suo futuro e per il futuro della sua famiglia. È la storia delle due Germanie divise dopo la Seconda Guerra Mondiale, è la storia di una nazione, la Nigeria, e delle atrocità perpetuate in Biafra.

È una storia di morte, di rinascita, di lotta, di politica.

Alessia Lingua