Perché saranno neve è un grande ritorno sulla scena poetica dei nostri giorni. Un libro tanto atteso da tutti coloro che hanno già letto: Gli allarmi delle stelle (prima edizione nel 2007 per Marietti 1820, successivamente pubblicata come revisione integrale da CartaCanta nel 2018), Inverno CartaCanta 2016, Il sogno pubblicato da CartaCanta nel 2022. Valentino Fossati si è dedicato alla poesia in tutte le sue forme, sperimentando e riscrivendo, performando e trovando un suo inconfondibile stile poetico, che emerge prepotente dalla sua penna e dalla sua persona. Fossati ci consegna un libro con la copertina liscia e monocromatica. Il blu notturno fa risaltare un titolo bianco, che sembra la risposta a mille possibili interrogazioni: Perché saranno neve.

Ci accoglie un fanciullino in continuo tumulto, che sente con la pelle viva e guarda, con occhi pieni, la sfida brutale di un disincanto: “(…) Meraviglia mia/ la strada vacilla, /ora/ è scossa/ questa terra non è più sicura (…)”(pag 9)

Il tempo, le luci, le ombre, fanno da scenario all’alternanza tra l’esserci e il non esserci, tra presenza e vuoto, tra arrivi e ripartenze, accoglienze e dolorosi abbandoni.  C’è una voglia di libertà che non si arriva ad ottenere, come un diritto negato dai traumi e dagli ostacoli “(…) Là fuori/ m’inseguivano i poliziotti/  (poliziotti)  / di notte/ volere l’abbraccio…/ Sollevarono la pistola/ mi mancarono/ per pietà/ nella nebbia spararono in alto/” (pag.18). Lo yin e lo yan, materno e paterno, il femminile e il maschile si intrecciano; sono elementi interiorizzati, ma quasi sempre distratti.  L’ “io”, per questo, fatica a determinarsi perché è allontanato dai propri bisogni ed è privato della sua innocenza “ (…)  O giovinezza dolorosa/ in quelle stanze/ giovinezza violata/ giovinezza oscena (…)” (pag56) “(…)seppellire il bimbo/ non volere altro/ uccidere noi…/ Uccidere lui.” (pag 35)

La parte femminile diventa la madre sacra, a lei si rivolge la supplica di vicinanza e di attenzioni. Ella veglia ed è presente, ma incapace di difendere gli occhi impauriti di un essere che chiede accoglienza “(…) benedetti ci saremmo incamminati/ nella polvere/ ma tu eri in altro regno/ madre / e non mi avresti fatto entrare/ non mi avresti seguito”(pag 12). La parte maschile è sfuggente, inconsistente, ego centrata, inarrestabile, non si volta, non guarda, non lascia che briciole “(…) Mai come ora/ prima dell’addio/ l’odore della carne ancora vivo./ Finirà/ Ma prima di dormire/aspetteranno i passi/ il padre ancora/ a rimboccare la coperta/ o l’odore, l’erba falciata/ sarà quella, inascoltata, la preghiera/” (pag. 14,15).

Così l’anima fragile, che alterna momenti presenti a memorie familiari e flashback, esperisce il delirio, si trova dentro a un trattamento sanitario dove gli infermieri diventano angeli e carnefici, dove la paura è una bestia che si combatte con l’ anestesia dei sensi. “ (…) si picchiano, boccetta di Valium/ (rubata) / nostalgia tra le grate, tra le spine/ infinita/ Padre-/ ho paura.”

 “ (…) O l’ospedale /   raggiunto/ ora /di corsa/ dove riposa / è vecchia, / (barella verde) / e gli insetti si annidano” (pag. 7) “ (…) l’infermiera /chiamate il dottore /    (siringa) / unghie spezzate aggrappate al camice-/ protegga Iddio (…)” (pag. 19)

Il dentro e il fuori si separano nettamente, si affonda nel senso di colpa, si spera in un’assoluzione “ (…) Implorare tenerezza di infermieri/  perché là fuori. /  Fuori. /  Mai. / Ma ti perdoneranno. (…)” (pag. 22)

In questa silloge si muore barbaramente dentro, ma la rinascita è l’esperienza più importante perché aleggia sopra a ogni dolore; c’è sempre luce dietro alle ombre e questa luce è una forza che non ci abbandona “ (…) rimango / non temere,/ resto…” (pag 66) . Il grido di dolore, la spersonalizzazione, sono passaggi che frammentano prima di ricongiungersi in un intero che è il risultato di molte battaglie vinte. L’istinto primordiale della propria sopravvivenza è salvifico: “(…) Ho riso dei folli/ sì/ anch’io/ ed ero lì. / Ero loro. / Le hai viste le scale, le scale…/ Hai mai visto le scale? (…) (pag39) “ (…) Ma tu dov’eri? Mai, dov’eri?/  Sapevi del mai?/ Il nome, il nome/ (tuo)/ il buio/ qui/ hai saputo del buio, di me/  hai saputo?” (pag 41).

Siamo di fronte a un pensiero filosofico, a un percorso lineare e mai interrotto, a una ciclicità che riporta l’uomo innanzi a se stesso, il testo è poetico ma narra una storia dove Fossati conduce il lettore verso una meditazione sull’essere e il divenire. Da una pagina all’altra ho capito che la vera riflessione non è tanto il dolore e la morte di cui l’opera è intrisa, bensì la ricerca di una rinascita, di un respiro, di una beatitudine conquistata aggrappandosi forte alla vita. Il fanciullino riemerge, come l’araba fenice, dalle ceneri a cui è stato condannato perché è ancora vivo. Egli crede alla bellezza e può sperare di incontrarla, se riesce a perdonare: “(…)Abbiate cura di voi, imparate a perdonare abbiate cura/ nuove ombre saranno , valli più profonde atre strettoie…/ lontano il tempo grande, inafferrabile/   vi dico una cosa, è veramente un peccato/ sono anni che non nevica a Natale” (pag 92). Egli si meraviglia, egli sa che tutto quello che ci si allontana da noi stessi, i deliri, le alterazioni, non è fine a se stesso. L’esperienza del dolore nel corpo, quella dell’anima rotta, la sgretolazione delle certezze, impongono una ricostruzione e portano alla metamorfosi. Tutto fa parte di un piano più alto e più ampio. Niente finisce, tutto si trasforma. Nella vicinanza umana, nel prendersi per mano, c’è un atto potente di libertà. L’essere vicini, finalmente, è una conquista ed è resurrezione.

“(…) Ma prendiamoci le mani/ oltrepassiamoci (…)” (pag 97) “Affamati di troppa vita / presto ci voltammo, / ci incamminammo (…)” (pag.98)

A questo punto il fanciullino muore, o meglio rimane ma si distacca dalle figure genitoriali che lo hanno generato: “ (…)Non riconosco i bambini/  i loro fuochi in miniatura/ (non più) / le case segrete, / né i padri e le madri che aspettano (…)” (pag.97)

Sarà davvero tutto risolto? In senso ciclico il punto più alto è comunque anche quello più prossimo a un burrone.

Fossati ci ha permesso di guardare, non si è nascosto, si è aperto come questo libro da una certezza assoluta: perché saranno neve.

Allucinante, spietato, tagliente, poi commuovente, dolce, illuminato. Questo lavoro è un percorso che non dà nulla per scontato.

Laura Bertolini