Non nego di aver iniziato a leggere il nuovo romanzo di Davide Mazzocco con una punta di scetticismo. Innanzitutto, perché non avevo mai sentito parlare del suo sfaccettato protagonista e mi dicevo che leggere l’autobiografia di un vecchio attore semi sconosciuto (o almeno lo era alle mie orecchie) del cinema italiano e internazionale, per di più sotto forma di diario, non mi avrebbe regalato la gioia sperata. Semplicemente per il fatto che non sono un’appassionata di cinema per quanto adori le storie d’ogni sorta.

Che sorpresa, invece, trovarmi di fronte non solo a un’opera di fiction, così ben architettata per altro da lasciarmi nel dubbio della sua veridicità fino alla fine, ma anche a un bellissimo romanzo, delicato, profondamente sensibile e terreno, il diario di un attore dai suoi esordi fino alla fine della sua carriera ma prima ancora di un uomo con le sue gioie e le sue preoccupazioni familiari, i suoi amori ufficiali e clandestini, le delusioni personali, le soddisfazioni, le riflessioni sull’arte e tutto ciò che una vita può contenere. Attraverso la sua professione, e nel clima fervido del secolo scorso, Vittorio Poggi, questo il nome del protagonista, ci fa riflettere sulla condizione umana.

Il romanzo di Davide Mazzocco, La mente è un luogo appartato (Alessandro Polidoro Editore, 2022), è quindi il diario di Vittorio Poggi, un ipotetico attore del cinema italiano di grande successo, che ha avuto fama in patria e all’estero recitando con grandi registi internazionali e vincendo svariati premi alla carriera. Un personaggio inventato che di finto però non ha niente. Non solo perché per gli appassionati di cinema (e non soltanto) è facile riconoscere in lui qualche grande nome del passato – penso a Mastroianni o Gassman, ad esempio, il loro fascino, il carisma e le loro carriere, infatti, si condensano nel personaggio di Poggi – ma anche perché il protagonista ci racconta un vissuto talmente intenso e intimo che il lettore non può non immedesimarsi. Un diario universale quello di Poggi, in cui scrive del suo lavoro, dei viaggi che questo l’ha portato a compiere, dei suoi successi o fallimenti professionali, degli elogi che gli vengono rivolti dalla stampa ma prevalentemente delle relazioni che vive con gli altri, colleghi, donne, soprattutto con le mogli (ne ha avute tre) e con le figlie che si rivelano invece piuttosto fallimentari.

Sono stato un marito infedele, assente, scarsamente premuroso e attento: ho fallito. Sono stato un marito fedele, presente, attento e premuroso: ho fallito. In entrambi i casi sono stato me stesso.

A questo si alternano pagine di interviste, copioni, lettere, email e documenti vari che, come piccoli trofei, l’attore avrebbe inserito nel diario nei suoi sessant’anni di scrittura.

Io per esempio prendo appunti su ciò che mi accade, lo faccio da anni. Mi serve per ricordare, non tanto gli eventi quanto emozioni e sensazioni. Il tempo è uno specchio distorsore, ingrandisce o rimpicciolisce, aumenta o diminuisce, a seconda della convenienza e della contingenza.

Lo stile di Mazzocco è perfetto per la sua opera. Una scrittura pulita e intelligente, estremamente appropriata per dare voce al protagonista che è un uomo d’altri tempi: elegante, moderato, brillante e passionale ma mai fuori dalle righe. La voce dell’autore sparisce completamente – come in ogni buona opera dovrebbe essere – per lasciare accesi i riflettori del palcoscenico sul protagonista Vittorio Poggi, e poi riaffiorare nei suoi ragionamenti su cinema e teatro, data l’esperienza dell’autore come critico cinematografico.

La forma utilizzata del diario è ben dosata, alternando pagine dei primi anni della sua carriera a scritti che ci riportano avanti nel tempo, racconti degli ultimi film, degli anni che avanzano e dell’esperienza di vita acquisita fino a quel momento, senza un vero ordine apparente.

Le riflessioni di Poggi sono molto interessanti. Più volte, durante la narrazione, l’attore si chiede quanto si sia venduto al cinema popolare, accettando, a volte, ruoli poco ricercati e mainstream, parti che parlano al grande pubblico e che gli fruttano somme cospicue passando dall’indossare i panni di un Gesù di Nazareth acclamato dalla critica a quelli dell’agente Z, pellicola campione d’incassi in Europa e negli Stati Uniti.

Lo chiamano cinema ma è mercato. Bernardi è uno straordinario artigiano e, al contempo, un artista al servizio dei produttori.

O quando ci troviamo di fronte alle sue considerazioni sulla fine dei suoi matrimoni, soprattutto quello con Meredith, la seconda moglie, di cui resterà particolarmente addolorato, anche a causa della condotta a suo dire irreprensibile – cosa che invece non era accaduto con la prima moglie.

Per lui non ci sono azioni virtuose che vengono premiate né azioni viziose che vengono punite. È il caos ad avere la meglio e non ci resta che accettarne le regole. Quanta verità ci racconta Vittorio Poggi, un uomo che ci appassiona fin dalle prime righe, che vorremmo come amico, uno di quelli su cui possiamo sempre contare, con cui ogni tanto ci si scrive, pur non vedendosi spesso, per raccontarci con sincerità delle nostre vite e lasciarsi andare a riflessioni più profonde e a volte amare di quanto in realtà desidereremmo.

È importante non abusare nell’autoassolversi chiamando in causa il destino, così come è fondamentale per la propria sanità mentale non eccedere nell’autopunizione reputando le proprie scelte come l’unica causa del nostro stato.

Veronica Nucci

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