“Alla mia cara amica Ombretta: anche Zita, Lara e Mia sono fatte di luci e di ombre, come noi”. Monica

Queste le parole scritte da Monica Coppola sulla prima pagina bianca del suo ultimo romanzo La misura imperfetta del tempo, Las Vegas edizioni, acquistato dalla sottoscritta durante l’ultima edizione del Salone del Libro. Di quel giorno ricordo gli occhi emozionati di Monica nel porgermi la sua nuova creatura fresca di stampa e la sua eccitazione nel sapere che, di lì a poco, quella storia a lei così cara sarebbe diventata patrimonio di tutti noi, i suoi lettori.

Zita, Lara e Mia sono rispettivamente la nonna, la figlia e la nipote di una stessa famiglia: tre generazioni racchiuse in dinamiche incancrenite da un passato denso di avvenimenti e da un segreto che ha forgiato l’anima e il comportamento di ognuna, slegandole, a poco a poco, tra loro. Come dice la Coppola “lo sporco c’era, invisibile ma c’era” e proprio da quello sporco causato dal non sapere, dal non aver dato un nome e un volto a un passato solo apparentemente lontano, prendono vita le figure così ben delineate di queste tre donne nelle cui esistenze è davvero impossibile non scorgere traccia di sé e di un tempo che scorre in maniera appunto “imperfetta”.

Siamo abituati a pensare al tempo come a un’entità piatta e informe, una linea che scorre lenta e inesorabile da un punto all’altro del vivere, un sottofondo monotono e costante per ogni nostro giorno invece, in questo romanzo, le accezioni tipiche del tempo non solo si trasformano ma modificano e definiscono il temperamento stesso delle tre donne che lo abitano. Il tempo di Mia, una giovane ventiduenne preda di ansia da controllo e insicurezza cronica, scorre lento e sempre uguale come fosse quello di una persona anziana imprigionata tra apatia e salutismo, senza più speranze per il futuro: un tempo fatto di certezze e in apparenza privo di sofferenza che pare già finito ancora prima di iniziare.

In seconda battuta e netta contrapposizione a una tale indolenza la Coppola ci regala il tempo di Zita, la nonna di Mia che vive, tra queste pagine, un vero e proprio risveglio. Dopo una vita trascorsa nelle vesti di moglie e madre, la morte del suo Tore, il marito di sempre, le spalanca le porte, dopo il periodo del lutto, a una nuova vita fatta di viaggi, vacanze e persino un secondo Amore. Zita decide di sfruttare al massimo il tempo che le rimane da vivere vestendo i panni di un’anziana dal temperamento dinamico, simpatico e talvolta così esplosivo da apparire quasi esagerato. Zita è la risposta rivoluzionaria alle tendenze conservative che spesso ci infliggiamo o a cui sottostiamo per conformismo: ecco quindi spiegato il motivo del suo fascino travolgente.

La terza rappresentazione di questo tempo difettoso che sfugge alle logiche razionali, congelandosi, è quella di Lara, madre inadeguata di Mia e figlia ancor più deludente di Zita e Tore. Lara sceglie di fermare il proprio tempo rinchiudendosi così in un personaggio fatto di coerenza e rigore estremi, finalizzati a non sentire i richiami di un cuore che ha, senza dubbio, un dolore al suo centro. Apparentemente priva di debolezze e allergica ad ogni sentimento, vive sola in un appartamento molto glamour ma impersonale, si nutre con cibi salutisti ma senza sapore e delega la sua vita affettiva ad una app di incontri fugaci e privi di ogni sostanza.

Ecco che a questo punto mi verrebbe da dire, Monica, avevi ragione! Nel tuo romanzo, luci e ombre si alternano in una Torino periferica riconoscibile e commovente con le sue scritte sui muri oltre che nelle vite di queste tre donne così diverse tra loro ma infondo così uguali. Sono donne che, come noi, si affannano nel vivere, si difendono dalle proprie storie e dal dolore che da esse fuoriesce e, come noi, vanno avanti radicandosi nelle proprie dinamiche fino a che non arriva qualcosa o qualcuno che le costringe ad uscirne. Spesso si tratta di un piccolo intoppo o di una visita inattesa; in altri casi un dettaglio fuori posto è sufficiente a scardinare i nostri, in apparenza, ben oliati meccanismi, scatenando uno squilibrio nell’intero sistema-vita. Per le donne della famiglia di Zita, la scheggia detonante è un’incomprensione tra nonna e nipote che, ben presto, si trasforma in un silenzio troppo prolungato fino a scivolare in un’ombra esageratamente lunga e buia che pare inghiottirle tutte e tre. È proprio in questa oscurità, seppur affrontata dall’autrice con sapiente ironia, che ha origine la voragine generativa del conflitto, ossia un pesante segreto sepolto nel passato di una di loro. “La verità travolgeva gli argini” leggiamo ad un certo punto del racconto “il finto gioco della famiglia normale era finito. Venivano a galla i detriti e in mezzo c’era anche lei. C’era quella verità che nessuno raccontava”.

La Misura imperfetta del tempo è un romanzo sulle dinamiche famigliari, declinate al femminile, ma soprattutto la narrazione di un’esperienza universale di verità. Monica Coppola con la sua scrittura puntuale, la sua voce matura e sottile al tempo stesso, ci prende per mano mostrandoci i benefici o malefici, sarà il lettore a decidere, della sincerità che irrompe all’interno di un nucleo famigliare.

Sottolineo infine l’evoluzione stilistica dell’autrice che passa attraverso dialoghi ben scritti perché sporcati dagli accenti della vita vera, caratterizzazioni molto originali a cui ci si affeziona con trasporto e momenti di alta intensità che si fissano nella memoria. Mi concedo una piccola nota personale nel confessare che per me la bellezza di queste pagine è strettamente legata a un ricordo: Zita, Lara e Mia mi riportano ad un certo trio legato alla mia infanzia e non solo… ma questa è un’altra storia.

Ombretta Brondino