Cosa si conosceva fino a oggi delle tre fate/streghe della brughiera inglese – Charlotte, Emily e Anne Brontë – a parte le loro opere di fiction, le poesie e i romanzi e i miti attorno a esse costruiti da critici e biografi, spesso e volentieri immersi nel pantano del vittorianesimo fino al collo? Quasi nulla.

Eppure, come si scopre dalle lettere ora disponibili in traduzione italiana grazie a Luciana Tufani Editrice (Un così forte desiderio di ali, pp. 160, L. 25000, nel 1999 ndr), le tre sorelle non furono soltanto gli elusivi folletti che le antologie ci hanno propagandato con evidente soddisfazione. Le Brontë passeggiarono, spettegolarono, si innamorarono, sbucciarono patate, fecero le istitutrici e odiarono il mondo della scuola. Certo è innegabile che vissero (poco) e sognarono (molto), e che tentarono a modo loro (ma con scarsi risultati) di ritagliarsi un posticino nel mondo da dover dare corpo ai loro sogni in silenzio, senza dar fastidio a nessuno. Salvo poi offrire la chiave di accesso – come credo sia il caso di Emily con Cime Tempestose – ai desideri più oscuri e demoniaci, lucidamente irrazionali, sublimi insomma, che allora, come oggi e per sempre inchioderanno alla pagina i lettori inclini al sottile fascino della possessione.

Le lettere delle Brontë sono soprattutto le lettere di Charlotte, forse non meno timida delle sorelle, ma molto più soggetta di loro alla seduzione del mondo letterario inglese. Anne è di gran lunga la personalità di minor spicco, protetta da tutti in quanto fragile e delicata ultimogenita di famiglia. Quanto a Emily, è l’affascinante sibillina del clan, e se ne compiace non poco. Interviene di rado, prediligendo la forma del diario segreto da sigillarsi dopo la stesura per essere poi riaperto qualche anno più tardi, in modo da verificare quanto il destino avrà soddisfatto e tradito di attese e desideri. Si tratta di appunti, alcuni scritti insieme ad Anne, altri da sola, perlopiù in occasione dei compleanni. Come un bilancio periodico in cui le perdite (non solo di persone, ma anche di animali e di anni che sfrecciano come una corriera) superano puntualmente i profìtti: «abbiamo Flossy; avevamo Tiger e l’abbiamo perduto; non abbiamo più il falchetto Hero, che era stato dato via insieme alle oche ed è certamente morto, perché quando sono tornata da Bruxelles, ho fatto ricerche dovunque ma non sono riuscita a sapere niente di lui. Tiger è morto all’inizio dello scorso anno». I sogni, sbocciati nel corso cli lunghi anni (per Branwell, il fratello promettente e dannato, la messa a frutto dei suoi talenti, per le sorelle la possibilità di aprire una scuola propria e le segrete ambizioni di scrittura) veloci come lampi si tramutano in fumo. Per sopravvivere occorrono necessariamente altri sogni – veramente – sogni, ovvero le avventure dei Gondal, gli eroi storico – mitologici inventati da Emily ed Anne, come dice la prima sempre nei suoi appunti di compleanno: «I Gondal sono fiorenti come sempre.( … ) abbiamo intenzione di rimanere fedeli ai mascalzoni fino a quando ci divertiranno e sono felice di dichiarare che per ora è così». Nelle sue rare e sintetiche lettere, Emily manifesta invece grande divertimenti nell’infilare qui e lì uno spillone del fantaccino di edulcorato buonsenso tipico dell’epoca, che non risparmiò nemmeno la focosa Charlotte. Scrive Emily a Ellen Nussey: «qui siamo tutti in buona salute; anche Anne, stando alle sue ultime notizie. Tra una settimana o due inizieranno le vacanze, ed allora, se sarà disposta, le dirò di scrivervi una lettera come si deve, cosa che a me non è mai riuscita».

«La zia è entrata in questo momento in cucina e ha detto Dove sono i tuoi piedi Anne. Anne ha risposto Sul pavimento zia. Tabry ha detto mentre le mettevo una penna in faccia Basta giocherellare invece di pelare patate. Ho risposto Oh Dio lo farò subito.»

Anche di Branwell si è conservata qualche lettera, dal tono sempre eccitato, sia che stia implorando i suoi totem letterari di fornirgli un parere riguardo i suoi scritti romanticheggianti («il mio scopo, signore, è cli prendere il largo nel mondo», scrive a Wordsworth) sia che chieda soldi in prestito per andarseli a bere in giro per taverne. Anche quando nessuno lo nomina apertamente, Branwell è onnipresente come ombra minacciosa, famelico avvoltoio che non molla un istante le menti dei suoi familiari, mettendone alla prova i sentimenti e le immaginazioni. Morto lui, nel 1848, anche le sorelle, a parte Charlotte, resteranno solo un poco in vita. Tubercolosi, consunzione – le grandi falci che spopolarono l’ottocento – furono purtroppo assidue frequentatrici anche di casa Brontë.

Charlotte fa appena in tempo a intiepidire un po’ il suo temperamento ribelle per sposare un rigido signore che le vieterà molte delle sue abitudini predilette – tra cui quella di subissare l’amica Ellen Nussey cli una copiosa quantità di lettere – ma anche questa nuova vita più normale, domestica (piatta, forse, dal punto di vista brontiano) non durerà molto. Dopo aver fatto il bollettino delle malattie e poi morti dei familiari, anche Charlotte se ne andrà come le sorelle, con appena qualche sogno realizzato in più, ma a vita quasi identicamente incompiuta.

Monica Pavani

Il libro

Anne Brontë, Charlotte Brontë, Emily Brontë
Un così forte desiderio di ali
Lettere 1829-1855

Luciana Tufani Editrice, 1997
Collana: Le classiche
a cura di Franca Gollini
158 p., brossura

Il libro attualmente è fuori catalogo