Abbiamo avuto il piacere (e l’onore) di leggere in anteprima l’ultimo romanzo di Giuseppina Torregrossa che, tra intrighi di corte, macchinazioni angolari che coinvolgono nord e sud Italia, Roma e Anversa, relazioni tra arte e potere, ci guida per mano nella Palermo del ‘600. Nella sua miseria e nel suo bisogno di santità. Edito da Feltrinelli il libro oggi 14 novembre.

Per parlare di questo romanzo arriviamo in fondo alla sua postfazione, ai motivi che hanno spinto una delle autrici più autentiche della narrativa italiana, una voce che canta la Sicilia e i tuoi miti e il suo clima sentimentale e la sua lingua come pochi sono in grado di fare, a raccontarci di come Rosalia sia diventata la protettrice di Palermo.

Tutto parte da un viaggio in qualche modo sofferto fino a New York per entrare in contatto con la santa alla quale, al netto di una religione vissuta in modo personale, Torregrossa è devota. La miccia è il quadro di Van Dyck esposto al Metropolitan della grande mela che ritrae santa Rosalia mentre intercede per porre fine alla peste che affligge Palermo nel 1625.

A quel punto mi è venuta l’idea balzana che Santa Rosalia volesse suggerirmi qualcosa e che quel qualcosa faceva leva sul senso di colpa che mi affligge da quando ho scritto Il conto delle minne, la cui protagonista era devota a Sant’Agata. Era arrivato il momento di rendere omaggio a Santa Rosalia.”

E così i fatti storici e i personaggi realmente esistiti, e magistralmente ritratti, si intrecciano con le vite dei personaggi di finzione, anch’essi reali e credibili.

Rosalia intesse un’amicizia con la giovane e sfortunata Viciuzza, apostrofata babbasuna da sua madre, che non nutre nessun sentimento amorevole nei suoi confronti, e vittima di una violenza dalla quale rimane incinta e che le darà la sua amata Luizza. Sarà proprio Rosalia a far partorire la donna, a correre in suo aiuto nei momenti di maggior bisogno e a dileguarsi come un’anima evanescente quando non serve più.

In questa amicizia tutta femminile fa irruzione padre Cascini, gesuita e testardo, che a Viciuzza trova una sistemazione terrena presso la grande pittrice Sofonisba Anguissola e a Rosalia una destinazione celeste, cercando in tutti i modi di renderla la santa unica e sola di Palermo. All’epoca la città all’ombra di monte Pellegrino aveva quattro sante, ma nessuna era davvero amata dai suoi cittadini.

Per costruire un’iconografia degna di una patrona padre Cascini coinvolge il pittore Van Dyck giunto a Palermo per ritrarre la santa e offrirla ai suoi credenti, nella speranza che riesca a frenare la piaga dell’epidemia che ha decimato la popolazione dell’isola.

Nulla è lezioso nelle descrizioni della Torregrossa, che sia Roma o Palermo o ancora Anversa. Sono affreschi secenteschi come i quadri dei pittori fiamminghi che calcano, credibili, le sue pagine.

Vicoli, anfratti, cortili si susseguivano in un alternarsi di chiaroscuri che parevano provenire dalla mano di un pittore. I colori seguivano docili il raggio di incidenza della luce e sfumavano l’uno nell’altro. Erano così ingannevoli (…). Né la pallida luce di Anversa che si esprimeva nel grigio assoluto, né la morbida luminosità romana e il lucore del raffinato travertino erano paragonabili alla potenza di quel bagliore.”

Il patto di scrittura che Torregrossa ha sancito con le donne passa attraverso il loro ruolo, la loro unione.

“Ma tu sei vera o no?” ebbe il coraggio di chiedere Vincenza (Viciuzza dopo la sua scalata sociale grazie ai coniugi Lomellini che hanno adottato lei e Luizza).

“Sono vera ma non reale. Quando mi cerchi, hai fiducia in me, speri in me, allora sono vera. Però poi, nella vita di tutti i giorni, ci vuole gente reale.

La narrazione procede per sodalizi femminili, in una società dove, anche se i ruoli istituzionali vengono spartiti tra gli uomini, nel patriarcato secolare del quale tutte le civiltà si sono radicate fino all’inizio dei tempi, il motore che fa girare le cose è innescato dalle donne e dalla loro ostinazione a far continuare la specie umana.

“Erano protette da un’aura di energia che le rendeva intoccabili. Sperse, zitelle, signore e serve marciavano insieme. (…) La città risuonò di una nuova promessa: Rosalia, Rosalia, libertà e santità.”

Angela Vecchione

Intervista con Giuseppina Torregrossa