Vorrei presentarmi, però prima ci tengo a mettere subito in chiaro una cosa: io amo questo libro e per anni ho pensato di poter stare insieme, conoscere, frequentare, limonare o anche solo prendere una birra esclusivamente con gli adulatori de La versione di Barney, di Mordecai Richler pubblicato da Adelphi.

E non chiedetemi perché.
Che partite male.

Secondo Miriam era quella la mia vera passione. “C’è chi colleziona francobolli, o scatole di fiammiferi” mi ha detto una volta. “Tu collezioni rancori”.
Una cuoca non può non assaggiare il cibo che sta preparando.
Vale per i libri, uguale uguale.
O comunque qui, cari, funziona così.
Qui c’è tutto: sale, cottura, proporzioni, punteggiature e riflessioni.
I figli, le mogli, i vizi, le malattie, un processo per omicidio: Barney Panofsky nella vita non si è fatto mancare nulla.
Dopo il suicidio della prima moglie e l’intervallo di un secondo matrimonio con una mezza matta isterica arriva lei, l’amore, quello a forma di amore, insomma.

Arriva Miriam.

“Mi piace il mio lavoro”. Contai fino a dieci, poi sparai: “Sto divorziando”.
“Oh, mi spiace”.
“Non è che dobbiamo parlarne proprio adesso, ma insomma visto che non sono più un uomo sposato, tu da ora in poi sei libera di vedermi ancora”.
“Parli talmente in fretta che non riesco a seguirti”.
“Ho detto che presto non sarò più un uomo sposato”.
“È ovvio, dal momento che stai divorziando. Spero solo che tu non lo abbia fatto per me”.
“Non avevo scelta. Io ti amo. Disperatamente”.

Solo che un tradimento stupido, sterile, insignificante metterà la parola fine anche alla fiaba.
Che tanto chi ce lo viene a dire poi, per davvero, come continuano le fiabe?
Barney è solo.
È solo con i suoi ricordi, malgrado gli amici, i nemici e i figli.
È solo con la sua carriera di autore di sit-com televisive, che a lui non fanno ridere più.
È solo con le sue malattie (la prostata infiammata, la sciatica, l’enfisema) e l’amatissimo whisky.
Ora vuole dare la sua versione dei fatti, di tutti i fatti che l’hanno visto coinvolto, scrivendo una biografia.
Lo ha pungolato un amico-nemico che sta per pubblicare un libro che lo diffama.

“Mi sono portato a letto la Vita di Samuel Johnson, libro da cui non mi separo mai – più che altro perchè, casomai spirassi nel sonno, è quello che vorrei mi trovassero sul comodino”.

Barney è il protagonista più imperfetto che tu possa pensare di aver mai incontrato in questi tatuaggi su foglio, chiamati comunemente libri.
Commette gli sbagli tipici commessi da chi, in realtà, dell’errore ha paura.
Non è voglia di avventura, no.  Quasi mai lo è.
È terrore di affogare, di essere dimenticati, sorpassati, abbandonati, voluti, ma voluti meno.

Ho letto questo libro tre volte e, tutte le volte, mi è parso chiaro che Barney ed io guardiamo la vita così: in prima persona e con il cuore rivolto al giorno dopo.
A volte senza godere dell’oggi. A volte solo con la frenesia matta di capire cosa c’è oltre la rabbia, la frustrazione, il nodo in gola che si piazza lì nel mezzo e non paga neppure l’affitto.
Da lui non puoi prendere esempio e lui se ne guarda bene dal voler ergersi a modello da seguire: ha desideri bassi, istinti di sopravvivenza che nulla hanno a che fare con la voglia di insegnare come si tira a campare tra persone per bene.

Però una cosa ce l’ha: è indimenticabile.

Tu prova.

Se non è così chiedi pure a Lea il mio numero di telefono per insultarmi.
Ps: Scherzo, oh.

Natalia Ceravolo