«Hai qualcosa da proporci? Una novità… magari.»

«Ecco!», mi fa lui senza esitazione. Mi passa un libro con una copertina azzurra, in primo piano una ragazza nel fondale trasparente di una piscina. O del mare. Tutto azzurro insomma. Avrebbe potuto darmi uno dei romanzi scritti da lui, editore e autore, e invece no. Mi da quello di Luca Quarin, Il battito oscuro del mondo. Edito da loro appunto, Autori Riuniti.

«Che cos’ha di speciale? Mi sembri piuttosto sicuro…»

«È un capolavoro», mi fa in tono asciutto.

«Addirittura?» Io con un velo di malcelata invidia, quella stizza inconsapevole di chi scrive quando viene posto di fronte all’elogio autentico di un editore nei confronti di uno scrittore (esordiente) che non sei tu. E che sarà mai? Penso tra me.

«Quando l’abbiamo ricevuto ho iniziato a leggerlo che ero in macchina. Fermo ad un semaforo, ho letto le prime righe. Ho accostato appena possibile e ho messo le quattro frecce. Ho cominciato a leggerlo con le quattro frecce e non riuscivo a smettere.»

Fossimo stati in un film di Tarantino avrei recitato da copione un – ok, passami il fottuto libro che ti ha fatto mettere le quattro frecce e vediamo cosa scrive questo figlio di puttana. Ma eravamo nella vita vera e più precisamente a Milano, al Book Pride, la fiera dell’editoria indipendente. Io e Lea, e migliaia di altre persone. Ho afferrato il testo, ho ringraziato con garbo. «Se ci piace ne parliamo su exlibris20!»

Ed eccomi qui.

Una famiglia dell’alta borghesia statunitense ripercorre la sua storia tra intrighi inconfessabili; potere e successo pubblico, segreti e impulsi morbosi privati. Anzi, privatissimi.

I protagonisti sono Elizabeth e William, fratello e sorella, nessuno dei due personaggi prevale a livello narrativo sull’altro, forse è proprio il loro legame, sancito da un inammissibile vincolo sessuale, ad essere il protagonista tra loro. Lui, erotomane e geniale al contempo, soddisfa pienamente le sue ossessioni sessuali solo con la donna alla quale non avrebbe mai dovuto unirsi, e dalla quale non riesce mai ad affrancarsi. Lei, che in quest’unione oscilla tra desiderio e rifiuto, calca le pagine nella costante ricerca della verità che avvolge le esistenze di queste anime perse e imparentate tra loro.

Quella di Quarin è una narrazione cinematografica che la cultura occidentale fruisce da decenni grazie a mostri sacri del grande schermo, da Martin Scorsese ai fratelli Cohen, passando per David Fincher.

Le vicende di questa famiglia di New Bedford si snodano in capitoli a cadenza biennale con salti temporali e riprese di passati più o meno lontani, dando vita ad una impalcatura costruita attraverso i fatti storici che dal 1964 in poi hanno caratterizzato la società americana.

Dovessi pensare al tema di questo romanzo, quella parola unica e sola che sancisce il senso ultimo di ogni storia, direi – patrimonio. È esattamente lì che tutto tende, al suo accrescimento come dovere “morale” in ossequio a quel punto di partenza così socialmente sentito dalla cultura americana dalle sue fondamenta; quella costante aspirazione al miglioramento posta a vangelo dalle prime comunità a bordo della Mayflower fino ai giorni nostri. Il patrimonio, la sua tutela, la sua crescita: all’interno di questo postulato vivono passioni, segreti, soprusi e devianze che nulla hanno a che vedere con il sentimento autentico di amore familiare. Di rispetto, come valore fondante delle relazioni umane.

Il battito oscuro del mondo sembra avvolgere in una spirale individuale e collettiva le azioni degli uomini, calati nella realtà storica che man mano si srotola, senza possibilità alcuna di porre fine al ciclo del male. Tutte le digressioni per raccontare i fatti che sanciscono la storia degli Stati Uniti, e dai quali si parte per mostrare la quotidianità dei personaggi che popolano questo romanzo, sono descritti con mirabile precisione, affidati alla penna di un affabulatore che definire estremamente consapevole delle sintesi a stelle e strisce sarebbe riduttivo.

Il romanzo di Quarin sembra scritto da Pynchon o De Lillo; fosse anonimo, nessuno si accorgerebbe dell’identità italiana dell’autore la cui opera è stata così brillantemente concepita. I suoi puntuali riferimenti alla cultura di appartenenza trovano nel Moby Dick di Melville, romanzo fondativo del capitalismo americano, l’ispirazione nell’aver strutturato la vicenda come un “romanzo balena”, ossia narrazioni che ingoiano altre narrazioni che ingoiano altre narrazioni. In un gioco riproduttivo che non stanca mai, complice anche una scrittura fluida e ricercata.

Frantumazioni che si delineano nel tempo digitale in cui viviamo, impossibile da negare o contrastare; un momento storico col quale possiamo solamente convivere. Così recita una frase nell’ultimo capitolo del romanzo: “ognuno deve fare la sua parte nella storia, anche se non serve a nulla.”

Forse è proprio così. Prendere consapevolezza che l’unica prevenzione possibile ad un declino morale, politico, ambientale, umano sia proprio questo atto di estrema umiltà: fare ognuno di noi la propria parte, assumendoci il rischio che possa anche non cambiare la storia.

Aveva ragione. Era proprio così. Un romanzo da quattro frecce.

Angela Vecchione

Autori Riuniti è presente nel nostro catalogo delle case editrici piccole e indipendenti.