Lidia Poët. Vita e battaglie della prima avvocata italiana, pioniera dell’emancipazione femminile, è un’opera di Cristina Ricci, pubblicata nel maggio 2022 da Graphot Editrice, Torino.

10.03.1946 le donne possono eleggere ed essere elette attraverso il voto politico
01.12.1970 promulgazione legge sul divorzio
22.05.1978 promulgazione legge sulla maternità e aborto
05.08,1981 abrogazione del matrimonio riparatore
15.02.1996 la violenza carnale diventa reato contro la persona e non più contro la morale

L’avvocata, nacque a Traverse di Perrero, borgo montano in provincia di Torino, il 26 agosto del 1855, si laureò il 17 giugno 1881 e venne ammessa all’Albo degli Avvocati l’11 agosto del 1883. L’ammissione venne revocata alla fine dello stesso anno e non poté mai esercitare in quanto donna.
Riuscì a vedere gli effetti dei principi per cui si era tanto battuta, cioè l’uguaglianza sociale tra donne e uomini attraverso il suffragio universale sancito nel 1946.
Morì il 25 febbraio del 1949.

Chissà cosa avrebbe detto se avesse saputo che sarebbe servito un altro secolo circa per ottenere leggi che liberavano la donna dalle ingiustizie e dalla sopraffazione. Si può solo immaginare una reazione sdegnata ma composta, seguita da un’azione ferma ma serena. L’immaginazione è confermata dalla narrazione della sua attività propulsiva e pubblica verso l’emancipazione femminile ma della sua vita privata si conosce poco.

Così l’autrice ha fatto di necessità virtù e ha saputo unire in felice connubio un’autobiografia e un saggio.

Infatti l’avvocata, dal carattere riservato e timido, ha subito il torto dell’oblio, complice il regime fascista, la sottrazione della sua scrivania e la perdita di molti dei carteggi che la riguardavano, pubblici e personali.

Ricci ha ricostruito con scrupolo, nell’arco di anni, le battaglie di Poët attraverso atti di congressi nazionali e internazionali a cui l’avvocata partecipò in qualità di vice presidente, presidente o incaricata; relazioni discusse nell’ambito di riunioni, consulte, eventi; articoli di giornale a lei dedicati; riconoscimenti pubblici nazionali e internazionali;  proposte giuridiche a favore delle donne e dei minori e suggerimenti in merito alla detenzione di minori, donne e uomini.

Nella prima pagina Ricci reputa che la frase più adatta all’avvocata sia di Malvina Frank, scrittrice veneta interessata alla questione femminile: “Chi smette di lottare prima di aver vinto, perde; chi nel moto generale si ferma, indietreggia”.
La premessa introduce pagine di storia degli albori delle lotte femminili per il raggiungimento dell’uguaglianza sociale.

L’importanza del testo risiede nella disamina dei passi fondamentali intrapresi per la conquista dell’attuale condizione sociale delle donne italiane. Non si può ideare e realizzare il proprio futuro se non si conosce l’attività infaticabile e risoluta di chi ci ha preceduto. Sebbene il libro, riferendosi a Poët, non possa essere definito femmista è indiscutibile il valore di impoteramento prodotto in chi lo leggerà in ottica costruttiva.

I diritti delle donne non sono mai acquisiti e stabili ma vengono continuamente ridiscussi, ridotti e depotenziati.
È necessario sapere da dove siamo partite e a quali condizioni erano sottoposte le donne cento, centocinquant’anni fa quando i tempi furono maturi per non accettare più l’oppressione e l’iniquità sociali, civili, culturali ed economiche. La conoscenza della nostra storia permette di svelare i pericoli che si celano dietro il compromesso, l’inerzia e l’incuria attuali.

A tal proposito reputo emblematici, e assolutamente pertinenti all’attuale tentativo di proporre un lessico inclusivo (chi include chi?) ed egualitario, alcuni passaggi di pagina 42, 53 e 54 relativi ai pretesti che vennero presentati a sostegno dell’esclusione di Poët dall’Albo degli Avvocati.

Pagina 42: “All’assoluta uguaglianza giuridica e politica della donna in confronto dell’uomo si oppone l’eterna e divina legge dei contrasti che regola il mondo e che costituisce uno dei principali fattori dell’umano progresso”.

Pagina 53: “La Corte di Cassazione (di Torino. N.d.R.) sminuisce anche la difesa (relativa al ricorso presentato da Poët. N.d.R) negando l’applicazione dell’articolo 24 dello Statuto Albertino. La tesi sostenuta è che benché il patto costituzionale garantisca l’eguaglianza, questa non può essere intesa come superamento delle disparità esistenti per lo stato di natura.

Avviandosi alla conclusione del dibattimento, leggiamo il passaggio cardine di pagina 54: “ Viene confutata anche la tesi secondo cui la legge del 1874 avrebbe dato, alla giovane, diritto all’iscrizione all’Albo. – Si deve ritenere che le donne non siano contemplate (nell’articolo 24 dello Statuto. N.d. R.). E di vero non è poi un argomento tanto lieve quello di trovarvisi sempre adoperato il genere mascolino avvocato e mai la parola avvocata (in corsivo nel testo. N.d.R.). Sicuramente è a credersi che se il legislatore avesse avuto cotale straordinario intendimento avrebbe inserito nelle disposizioni generali una chiara ed espressa dichiarazione (del genere femminile. N.d.R.)”.

Ecco svelato tutto il potenziale vessatorio e ingiusto del maschile universale: in qualunque momento e in qualunque luogo, qualcuno potrebbe ridiscutere i diritti di tutt* gli altr* in nome di una mancata specifica legislativa.
Capita di continuo di arrivare al punto di non ritorno nella negazione dei diritti. I meccanismi attraverso cui viene esercitato il potere sono comprensibili anche se è faticoso, a volte pericoloso, opporvisi.
Si parte sempre da un’inezia sulla quale si può sorvolare perché “cosa vuoi che sia, sono ben altri i problemi” e si finisce per vivere in un totalitarismo.
La storia non ci ha forse insegnato abbastanza?

Consiglio la lettura e, soprattutto, lo studio del testo.

Romina Braggion