Ex-Libris-0-6-13

Anno 0 | Numero 6 | Marzo 1997

Qualche foglia sul palcoscenico. All’aprirsi del sipario uno squarcio di vita rurale riempie la scena. I colori sono quelli dell’autunno inoltrato. I rumori dei lavori corali sono continui. Pirandello presenta così l’ambiente che farà da sfondo ad una delle sue opere più ariose. Ingombra il palcoscenico un gruppo di donne intente a gettar discredito e a costruire congetture sugli ultimi accadimenti del paese. Il bisbigliare è corposo, a volte assordante; le donne del paese sono un fiume in piena, quando d’un tratto, si fermano al sollevarsi delle foglie. Una brezza leggera arriva dalla campagna, le donne zittiscono, le note armoniose di un canto si diffondono nel teatro. Sta arrivando alle spalle della platea Liolà, il protagonista. La scena si ravviva, i colori sono quelli dell’arcobaleno. Spavaldo e sensibile, anticonformista e geniale Liolà è padre di tre figli avuti da tre diverse ragazze che egli alleva in casa sua affidati alle cure della vecchia madre Ninfa. Ma un altro figlio gli dovrà nascere da Tuzza, nipote interessata alle ricchezze dello zio Simone che cercherà in ogni modo di sposare. Liolà è l’unico personaggio vero, schietto che Pirandello ha liberato nelle infinite prospettive del teatro. Liolà è l’amante irresistibile, il poeta. È la fantasia che scivola sulle gonne delle donne che non insegue per inutile piacere, ma per quell’insostenibile leggerezza dell’essere che lo porta ad amare le loro armoniose forme valorizzate dai profumi della campagna siciliana. Liolà è il vento come di se stesso dice: “Ho per cervello un mulinello il vento soffia e me lo fa girare con me gira il mondo e pare, gira e pare, gira e pare un carosello.” Ma il vento fresco, si sa, trascina dolcemente il polline che senza costrizioni in assoluta libertà va a posarsi sulla natura gaudente. E così la sua profonda leggerezza porta con sé i frutti della passione. Quando ai suoi tre figli se ne aggiunge un quarto avuto con Tuzza nipote di zio Simone non può tirarsi indietro. Il senso della responsabilità stavolta lo guida, è pronto a rinunciare al suo canto.

Ma zia Croce d’accordo con Tuzza rifiuta. Il loro intrigo è perfetto: le due donne intendono beffare zio Simone facendogli credere che il figlio di Tuzza è suo e non di Liolà. Zio Simone non ha figli a cui lasciare il suo ingente patrimonio ed aveva sposato Mita l’unica donna per cui Liolà nutrisse affetto profondo. Il loro amore era nato nell’infanzia e si era infranto per quelle assurde pretese di una società verghiana che subordinando i sentimenti alla ‘terra’ e al danaro le avevano imposto di sposare zio Simone. Ed ecco l’inganno: zio Simone raggirato si accorda con Tuzza per lasciare Mita e sposarsi con lei che di là a poco gli avrebbe dato il figlio tanto agognato. Il quadro è completo. Zio Simone avrebbe avuto il figlio in qualche modo, Tuzza e zia Croce avrebbero agguantato soldi e ricchezza e Mita, l’unica incolpevole, sarebbe rimasta sola. Ma ecco che si rialza il vento, le foglie si alzano verso il cielo, il cielo è chiuso. Liolà è un uragano, sventare l’inganno diventa il suo obiettivo, smontare la piramide di falsità di una insulsa morale. Liolà è un acrobata, vola sulla testa dei personaggi ne comprende le bassezze, ne percepisce le materiali debolezze. Il palcoscenico è scosso. Con le sue canzoni Liolà stordisce i personaggi, colpisce i pettegolezzi, annienta le macchinazioni. La scenografia prende vita, le luci sono forti, i colori intensi. Il genio prende il sopravvento e le foglie roteano impazzite. Torna a volare per amore di Mita e dell’onestà. Con le sue abili arti amatorie ed oratorie porta per mano Mita all’amore che gli regalerà un nuovo figlio, quello della pace. Saputo della gravidanza di Mita, zio Simone ritorna con lei ancor più felice convinto che stavolta il figlio fosse effettivamente il suo. Intanto i personaggi ritornano al ciarlare quotidiano ancora ignari degli ultimi accadimenti. Solo Tuzza e zia Croce avvertono che nell’aria qualcosa è cambiato. C’è un’atmosfera frizzante, un venticello allegro arriva dal profondo della campagna, un canto spensierato si fa sempre più vicino. E di nuovo Liolà tornato a chiudere i conti. Tuzza e zia Croce hanno ormai capito. Quest’ultima, fallito il misero tentativo, tenta di rigettare Tuzza nella braccia di Liolà. È troppo tardi, Li olà non l’ama soprattutto dopo averne conosciuto il suo animo. Ma sa di avere un impegno: quello di prendere con sé il figlio che sta per avere da T uzza. Ma Tuzza è inviperita, schizza fuoco dagli occhi, e si lancia contro Liolà per colpirlo con un coltello. Liolà pronto le ghermisce il braccio ma non può evitare l’impatto. Sulla campagna cade il gelo la natura è immobile, il vento si stoppa. È un attimo. Liolà è ferito ma non in modo grave si tocca la ferita e guarda Tuzza, nonostante tutto la comprende. La scena finale è un’ultima breve poesia di Liolà per Tuzza: “Non piangere non ti rammaricare quando ti nascerà dammelo pure, tre e uno quattro gli insegnerò a cantare.” Il sipario si chiude sulla campagna e sul paese. Dal fondo della platea si insinua una brezza leggera.

Gianluca Iaione

 

In libreria

liolà.jpgLuigi Pirandello
Maschere nude: Liolà
Garzanti, 1993 (I grandi libri)
Testo siciliano e traduzione dell’autore a fronte
LXXXVIII-120 p., brossura
€ 6,20

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