Audiberti chi era costui? si potrebbe chiedere di fronte al romanzo Marie Dubois, apparso in Francia nel 1952 ma tradotto in italiano solo nel 1999. Difficile dirlo. Nato ad Antibes nel 1899, morto a Parigi nel 1965, autore di una dozzina di romanzi, di pièces di teatro e di saggi, pressoché misconosciuto fuori dalla Francia, questo scrittore si colloca sulla frontiera letteraria tra il XIX e il XX secolo. Sostanzialmente fedele alla tradizione formale dell’ ottocento, narra storie che vivono di un dolore, di uno smarrimento tutto novecentesco e scolpisce vittime di quella «tentazione del nulla» nella quale Ernst Jünger ravvisava la maledizione del secolo appena concluso.

Dolore e smarrimento affiorano evidenti in Marie Dubois, noir dove la cronaca si fa itinerario esistenziale. La figura femminile evocata nel titolo perde progressivamente i tratti di personaggio di ordinaria storia di periferia per farsi simbolo delle ossessioni del protagonista, delle sue angosce e della sua fondamentale inadeguatezza di fronte alla vita. L’ispettore Loup-Clair, uno dal «mento scolpito ma troppo corto», che «si distingueva appena dal collo pieno di battiti», poliziotto «perché bisogna pur guadagnarsi da vivere in un modo o nell’altro» e la polizia gli era sembrata meglio della medicina, che richiede di «cacciare ancora più da vicino il naso sulla cosa, la cosa umana, crepata, sanguinante, spappolata» diventa infatti l’eroe del caso, suo malgrado.

Pagina dopo pagina, in un’atmosfera oppressa dalla mole dell’ospizio di Bicêtre, tra portinaie incattivite dalla miseria, supponenti notabili e tubetti di gardenal, la storia di Marie si complica fino a diventare mistero, la sua voce si sovrappone alla vita interiore di Loup-Clair fino a confondersi con essa. Arrivati alla fine, ci coglie il dubbio che Marie non sia mai esistita, nutrita solo delle aspirazioni e dei sogni di questo anti-eroe da banlieue, uno che «figurava, tra gli umani, pari a un grosso asteroide nebuloso, una palla mezza sgonfia calpestata dai passanti, un pidocchio terrestre che scappa dalla paura»; uno capace di entrarci nel cuore, nel quale ci riconosceremo e che ricorderemo. Senza sapere bene come.

Federica Gioia

«Grazie al mio amore ho conosciuto l’amore.»

In libreria

Jacques Audiberti
Marie Dubois

Meridiano Zero, 2003
Collana: Questa non è una pipa
Traduzione di R. Poletti
256 p., brossura
€ 11,88

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