Munnu. Un ragazzo del Kashmir è un graphic novel di Malik Sajad, e racconta l’oppressione indiana del Kashmir attraverso gli occhi di un bambino di 7 anni.
I kashmiri, compreso Munnu, sono cervi umanizzati. Il piccolo cervo Munnu cresce e diventa adolescente, da appassionato disegnatore a riconosciuto vignettista politico su una rivista dell’opposizione.
La lettura di Munnu ci permette di capire quanto poco sappiamo della storia del Kashmir, con un tratto grafico che sembra inciso nello stesso legno su cui incide per lavoro come artigiano il padre di Munnu.
Il bianco e nero ha una sua netta ferocia, ma le relazioni tra i personaggi hanno molte sfumature. Anche Malik Sajad ha cominciato a fare fumetti da giovane, pubblicando vignette sul giornale regionale in lingua inglese Greater Kashmir: è indubbia la nota autbiografica di questa sua prima opera.
Munnu ha avuto un grande successo di critica, ricevendo il premio Verve Story Teller of The Year ed essendo inserito nella collezione permanente Artists ‘Books al Brooklyn Museum di New York. Ciò nonostante la sua pubblicazione è prima avvenuta in Gran Bretagna nel 2015 e solo dopo sei mesi, con diverse difficoltà, anche in India.
Si sentono le influenze di Spiegelman e della Satrapi, nella costruzione di una poetica visionaria e determinata, nella missione politica di un racconto a fumetti coraggioso e duro. Ma Munnu non è solo un ragazzo-cervo del Kashmir: è anche e solo una persona comune, che cresce in una situazione di estrema violenza. Grazie allo spostamento simbolico della rappresentazione animale, l’oppressione dei soldati indiani, rappresentati invece semplicemente come umani, acquisisce per contrasto una paradossale disumanità.
Un tema portante in Munnu è quello della scuola e del sistema educativo, deformato dalla politica, dalla censura e dalla paura: come dice lo stesso autore in un’intervista per The Wire, “L’istruzione in Kashmir è stata devastata. Il Kashmir è molto isolato dal resto del mondo, a causa delle turbolenze politiche. L’istruzione è stata interrotta in molti modi negli ultimi due decenni. L’istruzione consiste nell’apprendere una lingua e una storia totalmente diverse. Nei nostri libri di testo c’erano dei capitoli su Manto, Ghalib, Satyajit Ray, Shakespeare, ecc. Ma nessuno ci ha chiesto di leggere ciò che queste persone avevano da dire. Piuttosto che coinvolgere le loro idee, siamo stati costretti a ricordare semplicemente i loro compleanni e i luoghi in cui sono nati. Mentre potrebbero esserci eccezioni occasionali sotto forma di alcuni buoni insegnanti, le scuole, i college e le università sono totalmente burocratizzati. Uno studente deve cercare altrove per colmare le lacune nel sistema educativo.”
Munnu prende la nebbia del ricordo, spesso traumatico, e la incide sulla pagina.
Non mancano i momenti di tenerezza, di scoperta e di riscatto. Come la splendida conclusione, sospesa e interrogativa.
Caterina Bonora
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