Non avevo niente da offrire a nessuno tranne la mia confusione.

Jack Kerouac

Sono un mentitore. Non ho mai insegnato in corsi di scrittura, né creativa e neppure tecnica ma ho insegnato a usare le tecniche dello storytelling per gli scopi molto più bassi e prosaici del marketing della comunicazione aziendale e altri orribili complotti contro l’umanità. Ciononostante in quanto insegnante in scuole creative mi considero comunque un mentitore o per lo meno un complice di chi mente sapendo di mentire.

Nel nostro paese la maggior parte delle scuole che insegnano la creatività sono iniziative private che hanno la necessità di fare i conti con il bilancio. Questo implica che l’oggetto del loro sostentamento sia necessariamente trasformato in un prodotto che si possa vendere. Formule ce ne sono tantissime e le scuole di scrittura, abilissime nel costruire storytelling, sono in grado di confezionare i loro prodotti in splendide promesse. Promesse che spesso è possibile mantenere con corsi, incontri, workshop, tavole rotonde, seminari. Sono le promesse che attengono strettamente al contesto tecnico: come scrivere per i social, come scrivere un’autobiografia, come usare la penna per guadagnare soldi o passare il tempo. Ma chi spenderebbe mai soldi per cose così banali? Scrivere sui social? E che ci vuole? Ho un profilo Instagram che spacca e un paio di tette/addominali da urlo. (tette=femmine, addominali=maschi tanto per evitare polemiche di genere che porterebbero la discussione in altri lidi).

Quindi che si fa? Al pacchetto si aggiunge un aroma, un profumo di gloria alludendo ai grandi scrittori, agli sceneggiatori e, giustamente alla gloria degli ex allievi che vincono il Nobel per la Letteratura. Sia chiaro, in altre scuole i soggetti sono diversi ma la modalità è la stessa: grandi designer, il Compasso d’Oro, The Royal Ballet School, il Barcelona Football Club.

Purtroppo, celata o lampante, è una promessa che nessuno può mantenere. Per questo, noi che insegniamo nelle scuole creative, siamo un po’ fingitori, proprio come i poeti.

La creatività non si insegna, non la si impara. Al massimo la si coltiva. Paradossalmente le scuole che lavorano con la creatività sono estremamente utili per chi è già “imparato”. Questi luoghi non possono che essere delle palestre dove esercitare una propria necessità già ben sviluppata. Queste scuole non possono essere luoghi dove si fanno i compiti, dove si seguono le lezioni o dove si compiace l’insegnante. Questi devono essere i luoghi dello scontro, della fatica, della ricerca. Gli studenti dovrebbero essere affamati, esigenti e anche un po’ incazzati. Se non hai già scritto tremila pagine (roba brutta o roba bella non importa) non ti iscrivere ad una scuola di scrittura. Si sente spesso dire che bisogna leggere tantissimo per imparare a scrivere. Sono d’accordo. Ma questa non deve essere una scusa per non aver tempo di scrivere. Bisogna scrivere altrettanto e le cose che si scrivono bisogna avere il coraggio di farle leggere, di ascoltare le critiche, le smorfie degli amici, la noia dei conoscenti. La scrittura è uno dei più puri gesti di un atteggiamento passivo-aggressivo quindi bisogna abituarsi da subito ad essere considerati molesti rompiscatole che scrivono robe pessime.

Quando Pau Gasol si unì ai Lakers, il suo allenatore lo indicò ai compagni di gioco dicendo: lui vince perché ha più fame degli altri.

L’avventura di un narratore, di uno scrittore, di un creativo in genere deve nascere necessariamente prima di frequentare una di queste scuole. Certo, sulla via di Damasco si possono scoprire tecniche diverse (non voglio più scrivere libri ma voglio scrivere film o voglio esprimermi con la danza) ma il motore, o meglio il cuore della necessità di trasformare la realtà in storie, colori e suoni deve essere struggente e necessaria già da prima altrimenti la frequenza di queste scuole non potrà che essere una colossale perdita di tempo, un’amara delusione di false aspettative, un cospicuo esborso di denaro a fondo perduto.

Diversamente, se esiste una massa di fogli, di quaderni, di tentativi di ogni genere, atti concreti, tentativi disperati che hanno bisogno di una maggiore consapevolezza e magari qualche tecnica allora le scuole di scrittura e le scuole che insegnano la creatività possono essere delle straordinarie palestre dove gli incontri-scontri con altri creativi, magari con più esperienza, il confronto con i compagni di scuola, la necessità di mostrare il proprio lavoro, le sfide continue possono far fare a chiunque un notevole salto in avanti. È un tragitto intensissimo, faticoso, necessariamente doloroso altrimenti non sta accadendo nulla.

Le scuole fanno bene a costruire uno storytelling appassionante, pieno di sogni che potrebbero realizzarsi. Ma chi le frequenta deve essere vaccinato dalla momentanea sospensione dell’incredulità e sapere che la propria strada, Nobel o non Nobel, non l’ha tracciata ancora nessuno. Neanche un metro. In fondo questo è il primo esame che un buon creatore di storie deve superare: scoprire dove sta la verità e dove la finzione della scuola che ha scelto di passare i prossimi giorni, mesi o anni

Insomma le scuole come la scrittura non le si frequenta per applicare (solo) delle tecniche ma le si frequenta per cercare qualcosa che si è allignato nel cuore da tempo e che nessuno ci può regalare, insegnare o vendere. E soprattutto nessuno ci può togliere. Quindi, coraggio, si impara solo all’arrembaggio.

Nota a piè di pagina: Ho insegnato per vent’anni in diverse scuole creative di cui non farò il nome perché saranno già abbastanza arrabbiate con me.

Livio Milanesio