È possibile correre i quarantadue chilometri della Maratona di New York con un ginocchio in titanio e una malattia considerata sinonimo di immobilità?

Nella domanda è insita la forza di Nato per non correre, opera autobiografica con la quale il giornalista Salvo Anzaldi mette a nudo la vita di chi ha scoperto presto di avere più difficoltà rispetto agli altri bambini, di patire troppo per ogni caduta e di sanguinare incessantemente a ogni piccolo taglio. Il suo problema è la mancanza di un fattore della coagulazione del sangue e risponde al nome di emofilia: può provocare emorragie interne, talvolta addirittura spontanee, versamenti di liquido sinoviale nelle articolazioni e molteplici problemi più o meno invalidanti.

Da questa base, con una narrazione che fa largo uso di un tono ironico e leggero – l’unico adatto a trattare temi tanto delicati -, si percorre la vita di Salvo dall’infanzia, con le lunghe settimane trascorse in ospedale, passando per le continue iniezioni di sangue per sopperire alla mancanza di Fattore VIII e per l’operazione che gli impianta nella gamba un ginocchio di titanio. Ma il libro non è la cronaca minuziosa di un calvario, né ricerca la pietà: insegue piuttosto l’informazione, non rifiutando una certa volontà divulgativa, e si incentra con vigore su quella che è la vera, grande protagonista, ovvero la sfida per arrivare a correre la maratona di New York.

Risiede nel conflitto malattia invalidante – maratona il vero motore del libro, nonché il suo interesse trasversale: chi condivide l’esperienza dell’autore potrà ricevere un’iniezione di coraggio e di fiducia, ma chiunque abbia attraversato fasi particolarmente critiche nel corso della vita potrà trovare una nota di speranza che, tra queste pagine, assume i connotati ben riconoscibili della forza di volontà, evidenziata in maniera esplicita nel motto: “lavora sodo tutti i giorni ma non avere fretta, non guardare mai la linea del traguardo perché ti sembrerà sempre lontanissima, concentrati al massimo su quanto stai facendo anche se ti sembra poco perché è la somma dei piccoli passi che ti permetterà di raggiungere l’obiettivo finale”.

Un insegnamento semplice quanto concreto, fondato su un’esperienza che, col senno di poi, avrebbe potuto rivelarsi ancora peggiore. Negli anni Ottanta, infatti, “ogni volta che un emofilico ricorre a un’iniezione di Fattore VIII si punta alla tempia una pistola con il tamburo carico di pallottole mortali recanti il marchio di infezioni terribili quali HIV o Epatite C”. Eppure, superata la fase più critica, Salvo rinasce: affronta la dura fisioterapia seguita all’intervento e gli viene proposto di correre la maratona. Accetta, con tutti i timori del caso: come farà a correre se la sua attività fisica è ormai ridottissima? Gli allenamenti non saranno pericolosi? Non lo esporranno a infortuni e problemi? Ma ormai la molla è scattata: tra corse al parco, sedute di fisioterapia, di palestra e di piscina, ed escursioni montane, arriva il giorno dell’apice, quello della festa che si svolge tra le note di Bruce Springsteen, idolo di una vita e nume tutelare.

Una storia di coraggio in grado di infondere fiducia e di motivare a spingersi oltre i propri limiti, perché sarà al di là di essi che si troverà la ricompensa più bella. E nonostante “ognuno di noi sta solo con questa malattia, trafitto da un dolore personale”, dalle pagine di Nato per non correre emerge un amore per la vita contagioso, un messaggio di speranza per chiunque voglia coglierlo.

Luca Trifilio

Nato per correre è pubblicato da CasaSirio. Se vuoi conoscere meglio questa casa editrice, qui un’intervista all’editore.