È una delle parole chiave nel mondo della comunicazione di quest’anno. Il podcast come format di informazione sta raccogliendo sempre più attenzioni, dai fruitori così come dagli editori. Exlibris20 ha sentito le voci di alcuni degli attori più autorevoli del settore ed ecco cosa ha scoperto.

1. Il 2019 è davvero l’anno dei podcast?
2. Usare i podcast per raccontare cosa?
3. Perché tutto questo successo?
4. Nuovi media per nuovi bisogni?
5. Guerra o convivenza pacifica?
6. E al futuro ci abbiamo pensato?

Bolla del momento o nuovo media agli albori? Sulla natura del podcast e sulle sue potenzialità nel mondo dell’informazione si sta discutendo molto. Soprattutto si sta producendo molto, come rileva una ricerca Nielsen condotta fra il 2015 e il 2018 da cui risulta che in Italia in questo arco di tempo la produzione dei podcast sia triplicata. Per soddisfare una richiesta che è partita come circoscritta alle news o allo sport, ma che sta allargandosi sempre di più ad altri ambiti. Arrivato in Italia dagli Usa, dove al momento sta riscuotendo un notevole successo ed è ormai un formato di informazione consolidato, il podcast in Italia in questi ultimi due anni sta attirando l’attenzione sia dei fruitori sia degli editori. Exlibris20 ha raccolto le voci di alcuni dei player più autorevoli del settore per rispondere alle 6 domande definitive sul mondo dei podcast.

1. Il 2019 è davvero l’anno dei podcast?

Intanto partiamo con una domanda che si sono posti in molti: ma questo è davvero l’anno del podcast? Secondo Tonia Maffeo, responsabile marketing di Spreaker, “il mercato è in continua espansione ed evoluzione. Negli Stati Uniti stiamo vedendo un’enorme crescita delle inserzioni pubblicitarie programmatiche, in apparente contraddizione con la corsa ad avere dei contenuti originali in esclusiva. Fuori dagli Stati Uniti vediamo la crescita di mercati inaspettati come quello brasiliano o quello di alcuni paesi del Sudamerica; in Asia ci sono mercati letteralmente esplosi come quello sudcoreano; in Europa c’è una crescita di progetti che provano a superare le barriere linguistiche dei singoli stati. In Italia sono arrivati recentemente degli operatori nuovi sul mercato che stanno modificando lo scenario molto in fretta, aprendo un nuovo fronte competitivo rispetto all’egemonia delle radio in FM che sembrava indiscutibile fino a solo qualche anno fa”. Il ritratto di un panorama globale davvero in fermento, quello stesso fermento che stiamo ritrovando in Italia e che, secondo Carlo Annese – responsabile dell’area podcast in Storytel – “è un caso a livello internazionale: a differenza di altri paesi in cui Storytel è presente, il 60% degli utenti che per la prima volta ha fatto accesso alla nostra piattaforma lo ha fatto per ascoltare podcast; di questi un 40% ulteriore ha ascoltato un secondo podcast e poi è passato ad ascoltare audiolibri”. Decisamente d’accordo con il fatto che il 2019 sia l’anno dei podcast è Marco Azzani, country manager Italia in Audible:“abbiamo iniziato a produrre podcast due anni e mezzo fa, oltre a distribuire quelli che arrivano dai paesi in cui siamo presenti. Oggi di fatto abbiamo attivi fra i 50 e i 60 podcast e prevediamo di raddoppiare l’anno prossimo. Alla fine del 2018 abbiamo organizzato United States of Podcast, un evento aperto a tutti ma che si è poi rivelato il primo momento di integrazione per tutti coloro che erano interessati a produrre o che hanno già cominciato a produrre podcast in Italia. Circa 300 persone, 20 panel al giorno, presenti anche Storie Libere, Spreaker e altri player del settore. Quello è stato il momento in cui abbiamo visto cominciare un certo trend da parte dei media, che si è poi moltiplicato nel corso dei mesi”. Voce fuori dal coro è quella di Andrea Borgnino, giornalista, autore e conduttore radiofonico, parte dell’International Marketing Radio Rai – Radio Techetè alla Rai. “La mia sensazione è che il 2019 sia piuttosto l’anno degli audiolibri. Quest’anno noto che iniziano a esserci i contenuti per i podcast: ci sono molti più editori che li propongono, casi come Storie libere, Spreaker e Audible non erano pensabili fino a poco tempo fa. Diciamo che la produzione di podcast oggi non viene più percepita come un’attività strana, al contrario c’è molto fermento”.

2. Usare i podcast per raccontare cosa?

Una volta capito che il podcast non può essere la versione audio di un contenuto già utilizzato per la radio o per la televisione, è interessante analizzare quali sono i temi che riscuotono più successo in questo formato. “Ce ne sono di due tipi al momento” spiega Marco Azzani “Uno è quello che rientra nella categoria del self help, ad esempio i nostri corsi di lingua di John Peter Sloan, comico di Zelig e professore di inglese. L’altra area che va bene è quella del true crime: storie in genere vere trasformate in fiction, come La Piena, che abbiamo realizzato insieme a Matteo Caccia: racconta di un sequestro di cocaina e della persona che ha fatto da testimone e informatore durante la vicenda. Una storia vera che sta andando benissimo. Però poi ci sono mille altri sottogeneri, il podcast è un formato la cui definizione è generica: è un contenuto on demand e serializzato, ma al di là di queste due caratteristiche standard ci sono episodi di durata variabile, il che cambia anche lo stile della scrittura. Con Pablo Trincia abbiamo lanciato Professione podcaster, ovvero l’invito a chiunque voglia realizzare un podcast di mandare a noi il concept. Fra tutti i progetti ricevuti selezioneremo e produrremo quelli che consideriamo i più adatti. È un’area di crescita che va al di là della comunicazione, ha fine di creare artisti e tecnici che si occupino di podcast, che è diverso dagli altri media, ha una sua scrittura, i suoi tempi, le sue caratteristiche”. Carlo Annese riporta la sua esperienza dicendo che “i contenuti più adatti per questo format sono prevalentemente giornalistici. Il successo di un prodotto come Da Costa a Costa, realizzato da Piano P e dedicato alla politica americana, ci ha portati a definire un piano editoriale vero e proprio su questa linea: raccontiamo le comunità internazionali presenti in italia, parliamo di donne, sensibilità femminile e femminista, cerchiamo di proporre una ricostruzione giornalistica in chiave narrativa di quello che succede in Italia e nel resto del mondo, perché mi pare che la richiesta sia di questo genere e i nostri numeri lo confermano”. Sul desiderio di approfondimento concorda anche Andrea Borgnino, che infatti sostiene che “i contenuti che vanno per la maggiore sono interviste lunghe, storie belle da ascoltare. Al contrario della radio, il podcast offre una libertà di contenuti, di scrittura e di tempi molto maggiore”. Ma fa notare un dettaglio interessante: “C’è da dire che noi siamo un Paese in cui la cultura dell’audio è molto bassa: in Italia c’è il maggior consumo d’Europa di TV, perché siamo un paese abitato sostanzialmente da persone anziane”. A tirare le fila è l’opinione di Tonia Maffeo: “I contenuti che raggiungono le classifiche cambiano spesso, essendo il podcast per sua natura una tecnologia che si basa sui gusti delle persone, e i gusti cambiano anche con i tempi. Il genere che a distanza di anni ha ancora notevole successo è senz’altro il true crime, ricostruzioni di omicidi risolti o indagini su casi ancora da chiarire. Anche il genere comedy, sia esso nella forma di interviste o di fiction comica, rimane uno dei preferiti dagli ascoltatori. Poi ci sono delle interessanti “vampate”: negli Stati Uniti ultimamente per esempio stanno avendo molto seguito i podcast con storie di capitalismo mal riuscito, come Spectacular Failures di Lauren Ober o Nice Try! di Avery Trufelman. Diciamo che al di là dei contenuti, gli ascoltatori premiano sempre l’originalità dell’idea e la qualità della produzione”.

3. Perché tutto questo successo?

Ci sono due caratteristiche vincenti del formato podcast su cui tutti gli intervistati concordano. Due fattori che in realtà sono intrinsecamente legati: la possibilità di scegliere il contenuto che si desidera nel momento migliore e sulla piattaforma più comoda, traendo vantaggio dalla serialità, dalla durata e dalla modalità on demand. Ma altrettanto interessanti sono le riflessioni collaterali. Tonia Maffeo, per esempio, fa notare che “un altro segreto è nella facilità della struttura produttiva: una buona idea ci può mettere anche poche ore a diventare un episodio da ascoltare, e questo consente al podcasting in generale di essere sempre in sincrono con il pubblico. HBO quest’anno ha avuto la brillante idea di accompagnare alla formidabile serie Cernobyl un podcast, che usciva tra una puntata e l’altra, e che rispondeva alle domande del pubblico sulla serie. Per la fiction sono serviti quattro anni di produzione prima di andare in onda, al podcast bastavano poche ore per seguire le emozioni del pubblico”.

Carlo Annese mette al primo posto la qualità dei contenuti: “c’è necessità di un certo tipo di informazione, lunga e approfondita. La chiave del successo, oltre al contenuto, è anche tecnologica e di contenitore. Per una serie di motivi la tv non è più punto di riferimento, non concepiamo più la fruizione dell’informazione a una data ora e in un dato luogo. Non è più possible pensare di trovarsi al mattino davanti alla radio ad ascoltare Dj chiama Italia o la sera davanti a Lilli Gruber. Non è più così perché sono cambiate le abitudini, c’è bisogno di riempire gli interstizi di tempo in maniera intelligente. Al momento non c’è altra fonte per un’informazione verticale come quella che riesce a garantire il podcast fatto bene”. Concorda Andrea Borgnino: “i podcast stanno avendo successo perché li puoi ascoltare come e dove vuoi e, parallelamente, soddisfano una voglia di approfondimento che i media come tv o radio non offrono più. Devo sottolineare, però, che il pubblico dei podcast è un pubblico che per sua natura ha voglia di approfondimento e quindi tende a cercare canali dove può trovarlo”.

“Secondo noi è un mix di fattori, lo stesso che ha portato successo in altri paesi” afferma Marco Azzani. “Per iniziare, il fattore tecnologico: app su smart phone che ormai hanno tutti. Poi contenuti serializzati e brevi che meglio si adattano allo stile di vita moderno, una caratteristica che vale per i libri, ma per i podcast ancora di più. Il segmento più interessato è quello dei 25/35 anni. L’evoluzione delle abitudini di vita e di consumo orientano la scelta. Le sessioni di ascolto che rileviamo sulla nostra piattaforma sono relativamente brevi, circa mezzora, magari ripetute durante il giorno. Abbiamo migliaia di feedback di nostri abbonati trasfertisti che ci confessano di aspettare a uscire dalla macchina per finire l’ascolto. In Italia c’è meno commuting rispetto agli Usa, ma rimane comunque un fattore importante”.

4. Nuovi media per nuovi bisogni?

Riflettendo sui motivi di successo di questo formato si arriva spontaneamente a un’altra analisi, quella riguardante i bisogni che i podcast soddisfano in una modalità inedita rispetto agli altri media. “Rappresentano un modo molto efficace di approfondire, sempre rispettando le esigenze della nostra vita” commenta Marco Azzani. “Il modello della tv o della radio generalista è in crisi, per le nuove generazioni è meno interessante. Ma un errore che si commette spesso è di pensare che i giovani non abbiano la stessa esigenza di comprensione e approfondimento degli adulti. Nel momento in cui esce il podcast con le persone giuste e i contenuti giusti il successo arriva. Con i podcast si possono fare ottimi approfondimenti, negli Usa si vedono contenuti di ogni tipo ormai, persino podcast di storia della durata di circa tre ore l’uno. Le esigenze sono le stesse, quello che cambia sono i mezzi, il tempo e i livelli di attenzione”. Tonia Maffeo rileva la possibilità di fruire contenuti diversamente anche a livello di esperienza di ascolto: “Può sembrare banale, ma rispetto a un libro, ad esempio, un podcast può essere ascoltato quando la vista deve essere libera: mentre si guida, mentre ci si sposta con bicicletta o coi mezzi, mentre si risistema casa. Inoltre, mentre in un libro la parola è il centro di tutto, in un podcast, quando è ben prodotto, è solo una parte: ci sono anche suoni, voci e musica a creare un’esperienza coinvolgente per il nostro udito, è come guardare un film con le orecchie”.

Carlo Annese punta l’attenzione su un altro fattore legato all’esperienza di ascolto, ovvero la possibilità di creare relazione con il pubblico. “Nel caso della serie di Francesco Costa, abbiamo chiesto agli ascoltatori di sostenere la produzione con una donazione ricorrente mensile. A partire dal 2017 abbiamo raccolto più di 35.000 euro grazie a persone che hanno riconosciuto il valore del lavoro di Francesco. Con Milano Europa, ovvero un reportage in sei puntate di Francesco che racconta cos’è oggi Milano all’indomani dell’expo, dopo tre mesi abbiamo già raggiunto quello che abbiamo raccolto con Da costa a costa. Francesco ha instaurato delle relazioni con i suoi ascoltatori. Quando ci siamo dedicati alle elezioni americane raccontandone l’evolversi e i risultati, una volta chiuse le puntate abbiamo ricevuto migliaia di richieste perché continuassimo a raccontarne anche il post. Questo dimostra che le persone hanno interesse nelle fonti autorevoli e ne riconoscono le capacità”.

5. Guerra o convivenza pacifica?

Ce lo stiamo chiedendo tutti: i podcast porteranno uno scompiglio tale da imporsi sugli altri media o si apriranno invece scenari di pacifica convivenza se non addirittura di inaspettate sinergie? Il parere sembra unanime, tutti gli intervistati optano per la pacifica convivenza. Anzi. Come dichiara Andrea Borgnino, “credo che gli audiolibri trascinino i podcast e i podcast trascinino la radio. Quindi vedo una pacifica convivenza”. Un punto di vista condiviso anche da Marco Azzani: “nessuno ha la palla di cristallo ma tendenzialmente lo scenario della serena convivenza è il più prevedibile. Certamente ci sono aree di competizione e sarà inevitabile. Quando mi chiedono chi è il mio competitor, questo può essere la radio se il mio utente è in auto, ma in un altro momento il cliente può essere in tram con il cellulare, in questo caso il competitor sono i social media. La competizione è sul tempo, più che su un mezzo specifico che può sembrare affine”.

“Il podcast, da quando è nato come tecnologia intorno al 2004, è sempre stata una possibilità in più” commenta Tonia Maffeo. “Abbiamo visto che la TV non ha ucciso la radio, che il video non ha ucciso le radio stars e che i tablet non hanno sostituito i libri cartacei. È uno strumento molto giovane, ha solo una quindicina d’anni, e per molti versi ancora immaturo. Nel prossimo futuro una grande differenza la faranno i produttori, ovvero quelli che come nel cinema e nella musica dovranno trasformare un’idea in prodotto da ascoltare, la direzione che prenderà l’industria dei podcast e la diffusione degli strumenti che il pubblico usa per l’ascolto. Non vedo però una competizione con altri media, ma piuttosto una sinergia e una cooperazione che potrebbe portare a una crescita trasversale e comune”.

Anche Carlo Annese vede nel podcast una possibilità in più. “È una nuova opportunità di approfondimento, cosa di cui i giornali hanno bisogno. In questi mesi di collaborazione con Il Corriere è emerso un grande entusiasmo da parte dei colleghi che si sono proposti perché hanno scoperto in questi 40 minuti la possibilità di raccontare storie in maniera piana, approfondita, usando anche altre voci. Credo che anche la radio stia capendo che il podcast non deve essere solo la replica della trasmissione radiofonica”.

6. E al futuro ci abbiamo pensato?

Il podcast sembra pertanto l’ultima rivoluzione nel mondo della comunicazione, ma quanto grande? Carlo Annese è moderato nell’entusiasmo: “La speranza è che non sia una bolla, come al solito accade con questi fenomeni improvvisi per cui tutti oggi ci sentiamo obbligati a fare un podcast, o in passato tutti dovevamo avere un blog. Da questa eventuale bolla si approderà a un momento di stabilizzazione a medio termine nel quale resteranno i contenuti di qualità giornalistica narrativa audio/sonora, gli altri – come il self publishing – saranno di fruizione più ristretta. Noi stiamo cercando di educare gli ascoltatori a sentire e a trovare contenuti scritti e fatti bene, perché la necessità di scoprire e la curiosità ci accompagneranno sempre. Bisogna soddisfarle al massimo livello possibile”. Andrea Borgnino nota del fenomeno podcast una prospettiva più ampia: “penso che il futuro per questo segmento ci sia, auspico l’aumento di editori che abbiano voglia di investire in un filone che, a mio avviso, al momento ancora non fornisce un ritorno immediato. Sebbene non lo veda come un fenomeno di massa, il futuro c’è. E il motivo sta principalmente nel fatto che l’audio, come formato, sta tornando di moda. Gli assistenti virtuali a casa o in macchina sono la prima rappresentazione di questo trend, ma ci sono segnali che presuppongono un grande ritorno dell’audio vissuto come una nuova modalità nello stile di vita”. Dello stesso avviso è Marco Azzani: “secondo noi non è un fenomeno di nicchia, diventerà popolare, ci sono tutti i segnali per presupporre che l’audio diventerà il mezzo di comunicazione, in senso lato; la rivoluzione degli home assistant è appena cominciata e implicano una serie di rivoluzioni nel quotidiano non di nicchia. Noi non siamo un servizio elitario, facciamo cultura ma abbiamo un pubblico ampio, produciamo audiolibri, che è stato dimostrato che creano nuovi segmenti di lettura per gli editori tradizionali, non sono cannibalizzanti. Sono ottimista perché questo è un modo per allargare la base, l’importante è avere il contenuto di qualità. Ed è in quest’ottica che abbiamo deciso di avviare un progetto insieme a Pablo Trincia e alla Business School del Sole 24 ore: abbiamo appena lanciato il primo master per autori di podcast. È un’ottima opportunità per chi è interessato a operare in questo segmento perché si creerà del nuovo lavoro”. Tonia Maffeo, invece, trova più interessante pensare al presente: “nel caso di un mondo così vivido e in continua crescita ed evoluzione come quello del podcast, è molto più interessante e gratificante concentrarsi sul presente che sul futuro, perché le cose stanno accadendo e cambiando ora, di minuto in minuto. E la direzione da prendere è quella di una crescita internazionale, di avere paesi e culture che oggi ancora non usano questo strumento per raccontarsi e farsi conoscere. E poi aumentare sempre di più la presenza delle voci che al momento mancano, non solo nella produzione o nei contenuti, ma anche nell’industria e nelle sfere decisionali: è adesso che bisogna intervenire per fare in modo che ci siano più donne, persone di colore, seconde generazioni e identità meno rappresentate alle posizioni di comando. È il momento in generale di fare un salto nel vuoto in questo senso e il podcast è il modo giusto per farlo”.

Daniela Giambrone