(Pensieri su varie alternanze della vita gettando sassi in testa a qualcuno intendendo gettare un sasso nello stagno)

Troppo spesso, quando la critica si mette a ragionare sulle opere di un autore, in verità comincia automaticamente a ricercare la casella, il filone, i riferimenti o qualsiasi altro spunto che serva per rendere immobile (e quindi discutibile dai critici) tale autore. Ogni considerazione possibile che si può fare sulle scelte filosofiche, ideologiche, mistiche di Hermann Hesse, ogni considerazione sul percorso umano e intellettuale di Hesse ci può interessare solo se è ben chiaro che Siddharta o Narciso e Boccadoro sono il prodotto finale di un percorso interiore dell’autore che, essendo appunto interiore e personale, non può e non deve condizionarci. Quello che sto cercando di dire è che dovremmo essere tutti d’accordo sul fatto che la vita di uno scrittore, i suoi percorsi, si riflettano nelle sue opere, altra cosa è cercare di attribuire a queste una valenza di indirizzo tentando di dire sotto sotto «Hesse ha scritto Siddharta perché in quel periodo era travolto dall’orientalismo del suo spirito e voleva mostrarci delle cose».

No, no. Non funziona così, secondo me. Ed è quello che i critici meno bravi non riescono mai a capire. I lettori invece, che questi problemi non se li pongono, hanno dimostrato nel corso del tempo di essere più o meno lontani dalla sensibilità offerta da Hesse nei suoi romanzi, e basta. In genere possiamo però dire che chi ha letto Hesse lo ha amato e lo ama molto. Perché? Io credo che sia perché il lettore non incontra mai barriere. Dunque, il punto difficile da capire è che quando Hesse scrive non è nessuno dei suoi personaggi, non è nemmeno Hermann Hesse uomo e non è nemmeno Hermann Hesse scrittore. Quando parliamo di scrittori (se proprio vogliamo usare questa parola allora voglio subito escludere il 70% di coloro i quali sono ritenuti tali) è giusto capire che la loro posizione rispetto all’opera è quella di «terzi di se stessi». Non uomo, non scrittore, ma Dio (uso una parola facile) di quel mondo che sta creando. Specifichiamo anche che la creazione presupporrebbe un atto da parte di Dio abbastanza conscio e quindi vorrei correggermi e dire «emanazione spontanea» ma voi che leggete tenete buona la parola creazione… ah… sento già qualche scrittore che dice: «Be’… è chiaro che sono Dio, sono io che controllo, faccio, brigo… no, no se tu scrivi così non sei Dio che emana e basta… Dio non agisce per… dov’ero?»

Ora è chiaro che assumere questa posizione vuol dire non dare percorsi, non dare giudizi, non dare confini, non dare nulla che non sia la sola e pura forma materiale del mondo interiore dello scrittore. Esattamente questo si fa quando si scrive. Attraverso uno strumento imperfetto quali le parole (come lo sono i pennelli per un pittore) si cerca di avvicinarsi all’essenza della creazione, quindi anche alla nostra essenza.

«Tu hai parlato d’immagini originarie, d’immagini dunque che non esistono in nessun luogo fuorché nello spirito creatore, ma che possono essere attuate e rese visibili nella materia.»

«Se osservo un bosco che voglio comprare, affittare, ipotecare, usare per far legna e andare a caccia, non vedo in realtà il bosco ma solo le sue
relazioni con il mio volere, con i miei piani e le mie ansie, con il mio portafoglio.
»

Hermann Hesse

Hesse ci prova come ha la possibilità di provarci chiunque senta che la sua natura lo porta a mostrarsi attraverso la scrittura (attenzione… non sto dicendo che quindi tutti possono farlo perché siamo anche bravissimi a mentire a noi stessi e a non capirci). A mio avviso ottiene risultati molto alti proprio perché non sta cercando nulla, proprio perché il suo è puro racconto, dove non cerca stile, non cerca trame, non cerca di convincerci di nulla. Hesse ha sentito delle cose, e sentire non è una parola a caso è pienamente cosciente del fatto che queste cose non sono comunicabili attraverso la scrittura e attraverso nessun’altra azione dell’uomo. E quindi ne fa l’unica cosa possibile: un’evocazione del suo mondo interiore che sia il più possibile spoglia da sovrastrutture di pensiero, angoli mal interpretabili, spoglia di qualsiasi cosa possa costituire una barriera per chi legge. Probabilmente lo fa senza nemmeno ragionarci, perché (qui sì) il suo percorso, ha prodotto in lui questo modo di scrivere, di creare. Come sempre non c’è da farsi altra domanda su Hesse che: lo sento o non lo sento?

E naturalmente questa è solo un’opinione.

Le mie considerazioni personali su Hesse mi possono anche dare lo spunto per dire che la critica letteraria, soprattutto in quest’epoca dove conta di più chi conosci che quello che dici (che acidone eh…) è totalmente inutile. Bisognerebbe che qualcuno si rendesse conto che tutti siamo critici quando leggiamo un libro, lo siamo per natura e non per lavoro e per questo siamo migliori di qualsiasi critico che non può dire solo «Questo libro mi piace o non mi piace» ma deve inventarsi la dottrina per cui quel libro gli piace o non gli piace, tirare in ballo talmente tanti ragionamenti che, alla fine, se riesce a ricordarsi di quale libro sta parlando è già molto. A questo punto qual è la funzione della critica? Una volta almeno funzionava, più per combinazione che per sistema, nel portare alla luce dei talenti. Oggi, unicamente per come è strutturata la nostra società e per il nostro modo di lavorare, va benissimo che ci sia e che sia rispettata, come ogni cosa del mondo, ma che debba essere ascoltata più del consiglio di un amico con cui ci si trova in sintonia be’…

Quando leggo che Hesse ha cercato di armonizzare cultura occidentale e orientale o che cerca di integrare arte e ascesi mi pare che forse nessuno ha sentito Hesse scrivere che l’uomo è imperfetto, che la vita è alternanza e non equilibrio, che la condizione più elevata della nostra anima è l’amore senza desiderio e altre simili banalità che per me, dico per me, sono grosse verità a cui semplicemente si può dire sì o no con il proprio sentire. La risposta ad ogni quesito è già dentro di noi.

A questo punto, dopo avervi detto un sacco di mie opinioni (prometto che se ci saranno più di 997 richieste mi esprimerò anche sul delicato tema serve uno scrittore, deve mangiare anche lui, deve fare cosa, ha la possibilità di esistere, genio o incompreso… naturalmente con un tono molto serio), ci sarà qualcuno di voi che pensa che io sia un deficiente. Ed è giusto così no?

Simone Battig