“Io non lo voglio per me l’aborto, lo voglio per chi lo vuole. Lo voglio come volemmo il divorzio: per offrire una scelta. Una scelta di libertà, per diritto di libertà.
Io rifiuto un Paese che è libero, o si definisce tale, e che non consenta una simile scelta.”

Apro la mia riflessione sulla graphic novel scritta e illustrata da Lucia Biagi Punto di fuga con le parole di Oriana Fallaci, tratte dal suo intervento alla trasmissione “AZ: un fatto, come e perché” del 1976.

Nel corso del programma la giornalista è la quarta ospite a intervenire, in un dibattito in cui sono presenti 6 uomini e 3 donne: apre il suo intervento proprio mettendo in luce questo punto. Non dovrebbero essere le donne, per prime, a parlare di qualcosa che riguarda loro, il loro corpo?

Trovo le sue parole perfette, dall’inizio alla fine, e tristemente attuali. Non voglio riparafrasare il suo intervento per non togliere spazio all’opera di Lucia Biagi, ma ho trovato fondamentale citarlo per introdurre il tema trattato dall’autrice.

La trasmissione è datata 1976: è innegabile che da allora (e per fortuna) siano stati fatti dei passi avanti, ma quanti sono ancora da fare? Perché dobbiamo continuamente ricordare che la questione dell’aborto è una questione che riguarda le donne, che spetta a ciascuna di noi decidere e che questo è un diritto, che dovrebbe essere insindacabile, che dovrebbe essere espressione di un paese libero.

Una scelta di libertà, per diritto di libertà”.

La prima edizione di Punto di fuga è del 2014. A 10 anni dalla sua prima uscita, a quasi 50 anni dall’intervento di Oriana Fallaci, la storia di Sabrina, la protagonista del fumetto, è la nostra storia.

Sabrina è una giovane ragazza che lavora, ha un fidanzato, degli amici. La seguiamo immergendoci nella sua quotidianità, impariamo a volerle bene, a capirla. Siamo con lei quando scopre di essere incinta, immaginiamo di abbracciarla quando decide di abortire, ci innervosiamo con lei quando tardano a darle l’appuntamento in consultorio, ascoltiamo insieme a lei il medico che ci preleva il sangue commentare: «Sei la quarta questa mattina. Io e mia moglie sono anni che cerchiamo di avere un bambino.»

Siamo seduti accanto a lei nel letto d’ospedale, quando dice: «Non fa male.»

La storia di Sabrina è raccontata in modo delicato eppure così brutale.

Ma che cos’è davvero brutale?

Gli ostacoli che si incontrano nell’ esercitare un diritto per cui ci sentiamo ancora giudicate, che viene ancora messo in discussione, ma per cui vale la pena continuare a lottare, anche passando attraverso le storie: ecco perché quella di Sabrina è così preziosa.

Alessia Lingua