Addio al pianeta Terra di Luciana Martini, readerforblind 2021

(Hanno letto e scritto del libro: Antonella De Biasi, Micaela Di Trani, Palmina Colella, Elisa Bedoni, Nuvola Rinaldi, Marica Ciccarelli, Vera Gajiu, Lorenzo Berra, Raffaella Bersani, Francesca Lombardi, Sissi Patruno)

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Buona lettura!

Come mai abbiamo scelto di leggere per un mese tutti insieme Addio al pianeta Terra di Luciana Martini? Probabilmente per lo stesso motivo per cui la sua casa editrice, readerforblind, ha deciso di ripubblicare il romanzo di Luciana Martini: per scoprire un’autrice italiana ai più sconosciuta e per diffondere una narrazione piena di risonanze letterarie e umane con il momento storico in cui ci troviamo. Infatti, risonanza è la parola chiave con cui abbiamo letto e riletto la storia di Theo, cercando di restituire, a noi e a chi lo leggerà in futuro, una delle idee che ci piacciono della scrittura, e quindi della lettura: le storie sono legami e chi scrive e chi legge ne è attratto per scoprire e conoscere parti di sé dentro mondi in apparenza lontani. Se siamo di fronte a un romanzo distopico, a un romanzo per ragazzi e/o a una storia fantastica, non importa. Ciò che conta è saper guardare oltre le parole, raggiungere, come è successo a noi, ricordi e immagini che pensavamo di non avere. Buona lettura (e come sempre, leggete tranquillamente: non ci sono spoiler!)

Da qualche tempo Theo aveva preso l’abitudine di destarsi quando faceva appena giorno”.

Con un risveglio spaventato si apre Addio al pianeta Terra. Luciana Martini apre con grazia ed eleganza al mondo disfatto che il protagonista sta per scoprire; piega il suo linguaggio fluido e poetico alla ruvidezza di un pianeta in procinto di finire, se non già finito, e lo fa raccontandoci la vita di Theo. Theo è un ragazzino che vive in un non precisato luogo. e in un non precisato tempo. su montagne che circondano e abbracciano, ma certamente non proteggono, in un mondo alla sua fine per una qualche minaccia mondiale. In questo mondo silenzioso e vuoto, sopraffatto da un’apocalisse ambientale e climatica che Luciana Martini ha immaginato nel 1965, Theo avanza conquistando fiducia e scoprendo il valore dei rapporti umani, di quelli persi e di quelli conquistati, diventando un faro nel buio. La storia di Theo è la storia di una salvezza che inizia con l’incertezza di un’umanità che sta cambiando irrimediabilmente e alla quale ci si può solo adattare. Addio al pianeta Terra è l’evento catastrofico a cui non vogliamo credere. Sembra la fine decretata da Dio prima che il mondo potesse essere distrutto, sembra la speranza infusa a Noè spingendolo a creare un’arca che potesse salvare gli abitanti, ma anche gli animali. È l’emozione universale di ogni individuo, è l’iter dei pensieri che si susseguono mentre si cerca di andare avanti nella vita; affidandosi a chiunque sia pronto a spalleggiarci. Difficile non sentire la risonanza con quello che sta succedendo negli ultimi tempi.

“Perché è da quando la scuola è chiusa che tutti hanno più paura”, “Perché quando qualcuno ha paura non riconosce più gli amici?”

La paura è una paura indefinita ma così forte che si insinua ovunque, che sembra che tutti abbiano paura, anche le cose. Theo ha paura, tutti hanno paura, ma di cosa?

È una paura che si definisce lentamente, che prende forma nel corso del racconto dai dialoghi tra i personaggi, goccia a goccia il lettore è condotto con Theo a capire cosa genera questa paura. C’è una guerra, ci sono dei nemici, c’è la gente che fugge, ci sono città distrutte, c’è la radioattività, ci sono bombe che esplodono. I bambini vogliono sapere perché in fondo la vera fonte della paura è quella domanda che Theo si pone già dall’inizio: di che cosa aveva avuto paura? Theo non sa e questo fa più paura che sapere.

Era peggio che vedere e sapere, era più grande di qualunque cosa che lui potesse pensare. Era la paura che misurava il mondo con le braccia aperte.”

È proprio con il capitolo “La paura” che inizia la storia. Questo stato emotivo di smarrimento ed incertezza è presente in tutto il romanzo, palpabile, talvolta angosciante, ti penetra e ti strazia. I sentimenti di smarrimento e paura provati dai piccoli protagonisti del romanzo toccano un animo, soprattutto se già pervaso da tristezza. Non è facile leggere ciò che si prova, percependo pienamente tutta la loro paura, tremando e piangendo con loro.

“Che strana cosa la paura. Loro due sapevano che fa battere a colpi pesi il cuore, fa rombare gli orecchi e tremare in tutto il corpo.”

Per quanto il romanzo sia stato scritto in un momento storico molto diverso da quello che viviamo, sono le nuove generazioni il vettore principale della storia: come nella favola dark di Ammaniti, Anna, ritroviamo vigoroso il pathos della speranza di chi inizia la propria avventurosa traversata nel mondo.

I personaggi in generale sembrano inconsistenti, all’interno di una cornice altrettanto evanescente dove però c’è un’antropomorfizzazione delle cose, come il caso delle montagne.

“A forza di guardarle ieri e oggi e sempre, si vede che anche le montagne hanno un’espressione, come gli uomini.”

Ci sono pochissimi nomi propri, Theo, Vasìli, Krueger, Thomas, mentre cose e persone vengono definite attraverso nomi comuni: la madre, il padre, il pilota, il secondo, etc. Ma quello che all’inizio sembra semplicità, ha più a che fare con l’universalità. È la storia di un grande tradimento, quello dell’uomo nei confronti della natura, una natura maltrattata e abusata, che a un certo punto diventa altro, diventa buio, inferno, oscurità. Stavolta è la natura a cacciare l’uomo dall’Eden. E allora quei nomi comuni sono ruoli, non più persone, sono parti di un copione dove ognuno fa quello che deve fare (la madre consola, il padre protegge, il prete accetta e non abbandona il campo) ma ha perso umanità, ha perso l’anima.

E poi l’ora del sapore del pane col miele, che arriva così, senza che lui abbia fame, che sappia che ore siano. Il ricordo del pavimento appena lavato con gli angoli umidi, il sole basso dietro alla finestra, le piante che sgocciolano. Dettagli minimi, senza apparente importanza, Theo le sogna briciola a briciola. E per lui la nostalgia ha il sapore del pane col miele. Questo lo accomuna con tutti noi: i sapori, o anche solo il ricordo dei sapori, risvegliano in noi la nostalgia dell’infanzia e delle cose perdute. Come la famosa Madeleine.

Gli unici a mantenere una fermezza sono i protagonisti, i bambini e Krueger che ai bambini è vicino. In fondo sono loro che cercano ancora un dialogo con la natura, con il cane, con le montagne, con il paesaggio e tra di loro. È forte il legame che unisce i bambini, in particolare Vasìli: emblema del ragazzo più grande, più forte e autonomo che si prende cura dei più deboli. Ma non basta, talvolta anche i più decisi si fanno prendere dallo sconforto. Il dolore della perdita è il fuoco centrale del romanzo: smarrire gli affetti, la famiglia, i luoghi cari, i punti di riferimento, le regole. Nel distacco di Theo dalla famiglia si intravede la metafora del passaggio alla vita adulta. È significativo il discorso del padre, una sorta di lascito, di testamento, del resto è proprio quando ci si rende conto che un genitore non è infallibile che non si è più bambini.

Attraverso parole semplici e scarne, Martini crea atmosfere palpabili e paesaggi apocalittici in cui ci si sente catapultati con la stessa paura dell’ignoto. È una scrittura dolce, intima; i personaggi sono carichi di umanità, si muovono in maniera viva e le loro voci sono profonde. Con dialoghi asciutti e precisi, piccole frasi che con una sola parola aprono un sipario sul mondo intorno a Theo. Martini parte dalla paura, emozione forte e intensa ma non ben definita, e goccia a goccia questa paura assume una forma. La guerra, il fuggire, le radiazioni, il muro, il nemico, la nuvola nera. Il contesto si definisce.

“Si scopre la luna e il cielo scuro le si sposta piano piano da un lato, lascia un colore viola e una larga stella lucente. Lassù è come ogni notte, come ieri, come domani. Come quando non succede nulla.”

È una scrittura che ricorda il racconto Qualcosa è successo di Dino Buzzati. Il sentimento alla base di entrambe le narrazioni è lo stesso: la paura nell’ignoranza. Quest’ultima un’amplificazione della prima, un baratro nel quale il meno prudente, il meno preparato dei protagonisti, precipita fino a una minore consapevolezza degli avvenimenti e del mondo che lo circonda. Theo, per tutto il romanzo, aggiunge alla sua valle incantata sempre più tessere, sempre più luoghi, alla sua solitudine pacifica di bambino stratifica la compagnia di ragazzi smarriti come lui, ai suoi genitori tenta invano di sostituire altri adulti. Cresce, eppure resta lontano dalla verità. Il fantastico è suggestione continua, dubbio perpetuo che quello che è familiare non lo sia davvero e viceversa. È l’assenza di una risposta ciò che si guarda superficialmente o si scruta nel fantastico. Si assiste a una segreta religione del corpo e delle parole, dei sogni infranti misti a una dura forma di resistenza. Il punto di vista, seppure in terza persona, di Theo, è insieme adulto (è adulta la lingua, il lessico, la sintassi) e infantile (certe immagini, le sensazioni, la paura, il vuoto nella mente di chi non sa).

Il contrasto luci e ombre presente un po’ ovunque nel testo è come un viaggio introspettivo dell’essere umano che posto di fronte a grandi trasformazioni attinge alla sua innata forza d’animo. Lo sguardo di Theo sa dare azione ai suoi pensieri tormentati di bambino che prova a fuggire e a mettersi in salvo, si mescola a quello degli altri protagonisti: tutti velati da sentimenti contrastanti, degni di un’apocalisse, ma ancora ammantati da una profonda umanità.

Non dovete pensare “per sempre” e “da ogni parte” come ha detto Vasìli. Questo, se non ci fosse Dio. Allora sì, tutto e per sempre. Allora sì, bisognerebbe aver paura. Ma Dio rimane, e questo vuol dire che nulla è finito.”

Nel romanzo del ‘900, persino nella pittura impressionista ed espressionista o nella poesia, la natura e il paesaggio sono diventati un vero e proprio totem nell’intreccio dello sviluppo narrativo e nella vita dei personaggi. Infatti, la natura imperturbabile fa da filo conduttore per tutto il racconto: è il senso del divino. Martini ricorda i romanzi di Faulkner o di Caldwell; persino di Fitzgerald o di Yeates, la natura gioca un ruolo sottile. Luciana Martini ha saputo condensare nell’animo afflitto del protagonista Theo tutto questo malessere, la poetica leopardiana al languore crepuscolare Carducciano. Ha saputo, soprattutto, far cogliere al lettore, con l’immagine gloriosa delle montagne, ciò che per lo stesso Leopardi ha rappresentato la natura e il suo mito storico. Theo è quel “pastore errante” che cerca di recuperare nostalgicamente la vita che un tempo aveva con sua madre e con suo padre. Fin dall’inizio trova conforto nella natura: è guardando la creazione – terra, acque e cielo – che si tranquillizza, perché tutto è come è sempre stato. Durante il suo cammino si chiede: perché tutto è come quando non succede nulla? Nella narrazione aleggia una sensazione di fiducia nel futuro. Il romanzo è figlio del suo tempo, infatti, la religiosità è fortemente presente. È l’incrollabile fiducia in un essere superiore che tutto vede e tutto può, a cui si affida la propria vita, tipico delle persone di una certa età, che ricorda il costante “Se Dio vuole” che ripetevano i nostri nonni. Può sembrare quasi che il romanzo sia impostato come una Messa: c’è una professione di fede (il prete che si rimette nell’Infinito), c’è un mea culpa (il pilota), l’Alleluia, la Parola (sempre il pilota), una preghiera universale (nel capitolo Il Nemico) e alla fine il congedo con tanto di elevazione verso l’alto.

La letteratura distopica contemporanea è permeata delle tematiche che Luciana Martini anticipa già nel 1965 – come forse solo William Golding era riuscito a fare solo pochi anni prima con il suo Il signore delle mosche –, due su tutte: la reazione dei bambini e degli adolescenti di fronte alla disgregazione del mondo fino ad allora conosciuto e il loro ruolo in future possibili società post-qualsiasi cosa e la fine della Terra, nostra unica e solitaria casa, in un universo che sembra non concedere alcun piano B a chi dovesse fallire in quello che sta vivendo.

Ti chiederai perché succederà, quello che succederà, quando io forse non potrò più risponderti. Nemmeno ora posso risponderti, ma tu devi sopportarlo.”

La fine di tutto è grande per tutti perché si diventa piccoli come Theo.

Durante la lettura collettiva è nata questa raccolta fondi per il progetto di accoglienza della famiglia di profughi siriani arrivata a Santa Venerina con i corridoi umanitari. Il gruppo di lettura di Casa di scrittura la condivide con tutte e tutti noi. Se vuoi, puoi contribuire e/o condividere. Grazie!
“Ma insomma… a te t’importa?” https://daicistai.apg23.org/campaign/ma-insomma-a-te-timporta/