Il nome, o pseudonimo, dell’autrice è già evocativo: Liz Suburbia mi rimanda subito all’idea di periferia suburbana, di deriva periferica che è, poi, quella in cui si svolge l’intera vicenda narrata nel graphic novel Sacred Heart, pubblicato in Italia da Eris nella collana Kina (altro link semantico, visto che di punk rock ce n’è molto pure qui).

Siamo ad Alexandria, nella provincia nordamericana, una cittadina abitata solo da ragazzini e adolescenti. Degli adulti non c’è traccia: pare siano andati via – non si sa perché – ma pare anche che ritorneranno, prima o poi – non si sa quando.

Ben, la protagonista, è una giovane sveglia, figa quanto basta per essere nei giri giusti; guida un furgoncino tipo Volkswagen e passa le sue giornate in totale assenza di regole, trascinandosi con i suoi amici da una festa punk all’altra, bevendo, fumando, ascoltando musica “dura”, senza programmi per il giorno dopo, senza aspettative, sempre con un occhio, però, alla sorella minore Emphaty, assicurandosi che non stia troppe notti fuori casa.

È un universo talmente libero, quello di Alexandria, da apparire a tratti quasi asettico: quando non c’è nessuno che ti impone delle regole, per cosa vale la pena ribellarsi?

C’è tanto rumore, tanto caos, ma anche tanta apatia, a travalicare le tavole di Liz Suburbia che, con il suo tratto netto ma morbido, dal bianco e nero pieno, alterna perfettamente le sequenze dialogate e di movimento a quelle totalmente mute.

C’è, però, anche il tempo per l’amore, quello delle prime volte, per il sesso scomposto e ingenuo: Ben e Otto si annusano, si piacciono, sperimentano, come ogni altro ragazzo della loro età, tra inadeguatezza e ostilità.

A prima vista Sacred Heart potrebbe apparire, quindi, come una narrazione sugli adolescenti per adolescenti, ma è molto di più. Un po’ perché il contorno quotidiano di “calma apparente” è minacciato da strane morti che colpiscono la cittadina: si tratta sempre di giovani vittime, ma non ci viene detto come succede (se non sul finale). I ragazzi paiono straniti, più che preoccupati veramente; in fondo, se non c’è nessuno a regolare anche la morte, che bisogno c’è di turbarsi? Si assiste alla scena, se ne prende atto e si passa avanti, al prossimo concerto o alla festa di fine anno.

C’è di più, anche perché il profilo noir ha a che fare con una sorta di “realismo magico” – che richiama non poco il lavoro dei fratelli Hernandez, dalla serie Love and Rockets a Locas –, con le sue presenze e assenze a metà tra l’improbabile e il concreto, così naturali da storicizzarsi. Dove sono andati gli adulti? Chi ha ucciso tutti quei ragazzi? Domande legittime, certo, ma di fronte alle difficoltà della vita vera, forse non così incombenti. Come quando Ben, accarezzando il suo cane, gli chiede di portarle fortuna e di aiutarla perché «… è solo dire a un ragazzo che lo vuoi più di ogni altra cosa… è solo la fine del mondo».

Infine, una considerazione sul titolo. Quel “cuore sacro” mi ha richiamato alla mente l’immagine degli ex voti tipici del culto cristiano, legati ai segni di ringraziamento per le guarigioni, fisiche e spirituali. Non so se Liz Suburbia abbia pensato a questa simbologia nello scrivere la storia che ho letto; certo è che gli adolescenti di Sacred Heart sono i cuori sacri rimasti di un mondo adulto, perennemente assente, forse destinato a implodere su se stesso.

Note sparse

La colonna sonora della storia appare qua e là come nota a piè di pagina. Io non l’ho fatto, ma sarebbe bello ascoltarsela durante la lettura.

Quando è uscito, il libro è stato inserito nella lista dei dieci migliori graphic novel per adolescenti: in realtà è una lettura perfetta anche per chi adolescente, come me, non lo è più.

Brava, Eris edizioni, che non sbagli mai un colpo!

Cristiana Ferrari