Scompartimento n. 6 di Rosa Liksom è diventato un film premiato a Cannes nel 2021, ma per chi come me non lo ha ancora visto può lasciare spazio alla sua fantasia nell’immaginare le espressioni dei personaggi durante i loro dialoghi talvolta grotteschi, il grigio scompartimento dove si svolge prevalentemente la narrazione, il viso dell’uomo russo sicuramente malridotto a causa della vita durissima e dell’abuso dell’alcool. Ma soprattutto può immaginare le cartoline di paesaggi enormi, sconfinati, incontaminati, talvolta industrializzati e inquinati.

Il libro è stato pubblicato in Italia nel 2014 dalla casa editrice Iperborea, la quale ha come scopo far conoscere la letteratura del Nord Europa in Italia.

Signori e signore… ecco a voi la Russia!

Sì, perché il libro non ha molta trama, per certi versi sembra più un diario di viaggio che non un romanzo. È tutto un susseguirsi di descrizioni di immagini suggestive della taiga, del grande lago ghiacciato, di grandi centri industriali, di basi aereospaziali della provincia profonda siberiana spesso abbandonati.

Certo i nostri due personaggi hanno la loro storia: lui, il russo, la sciorina tutta già all’inizio del libro. Con la sua logorrea da alcolista non nasconde nemmeno i particolari più scabrosi, più raccapriccianti soprattutto dal punto di vista della sua malcapitata compagna di viaggio; lei è una ragazza finlandese dai pensieri tristi e malinconici la cui storia ci viene svelata più lentamente.

La transiberiana è un viaggio sognato da molti. In treno si possono percorrere più di 9000 chilometri e raggiungere Ulan Bator nella lontana Mongolia. I nostri due passeggieri all’inizio non si conoscono. La ragazza finlandese all’inizio è terrorizzata da quell’uomo, lo teme a causa dei suoi modi rudi e delle sue affermazioni misogine. Ne è talmente spaventata da arrivare a corrompere l’addetta al treno, con la poca valuta internazionale che possiede, pur di cambiare lo scompartimento, ma poi è costretta a lasciar fare al destino e si abbandona a quella strana amicizia nata per caso per il posto che  le è stato assegnato su quel treno.

E così si forma questa strana coppia, lei inizia a fidarsi e in lui nasce una specie di istinto protettivo che fa ben sperare nell’umanità di un popolo che, nonostante le varie traversie di una storia e di un destino drammatico,  ha mantenuto acceso il cuore.

Insieme i due protagonisti si fermano di stazione in stazione, visitano paesi, città, osservano il paesaggio russo che l’uomo conosce, che descrive alla ragazza con l’amarezza e insieme la fierezza dell’appartenere a quella terra ricca di materie prime ma desolata.

“La ragazza si chiedeva come facesse ad amare quel paese bizzarro, il suo popolo umile, anarchico, ubbidiente, ribelle, indifferente a tutto, inventivo, sofferente, fatalista, fiero, saccente, astioso, triste, allegro, disperato, soddisfatto, rassegnato, affettuoso, perseverante e che si accontenta di poco.”

Siamo negli anni ’80 del secolo scorso e per la Russia è un periodo di stagnazione: deve ancora iniziare il nuovo corso della storia. Deve ancora iniziare la trasformazione da Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche a quello di stato capitalista oligarchico che conosciamo ora.

L’uomo dello scompartimento n. 6 nei suo deliri alcolici, ci racconta di quel Paese. Lui ha sperimentato tutto : lo stalinismo,  il terrore, i campi di rieducazione, il lavoro duro delle fabbriche e dei cantieri, la vodka…

Lui conosce bene il carattere dei vari popoli che compongono il puzzle dell’Unione sovietica: georgiani, armeni, mongoli, cinesi, ceceni, ma anche lettoni, estoni e lituani.

Ce li descrive con un certo razzismo mettendo in evidenza le differenze con gli abitanti di Mosca e dimostrando così come fosse disgregato quell’impero. E la Storia stessa poi ce lo ha rivelato.

Ma parla anche dell’amore, del sesso, del suo matrimonio, di figli mai nati e di un solo figlio nato.
Nei suoi racconti si percepisce tutta la claustrofobia di un uomo come tanti altri in Russia:  già da giovane vede il suo destino segnato in una nazione che non permette l’espansione o la creatività dell’animo umano. E lui come tutti è costretto a silenziare il cuore e ad anestetizzarsi con la vodka per lenire un dolore che non è solo un mal di denti come lui afferma, ma una cupa rassegnazione.

La ragazza studia archeologia a Mosca, è innamorata di un ragazzo moscovita che per non essere arruolato nelle truppe inviate in Afghanistan è finito in manicomio dove è impazzito davvero.

Lei è nata e cresciuta in Finlandia, arriva a Mosca per studiare l’archeologia di alcuni siti che la affascinano e lì incontra l’amore.

La Finlandia e la Russia, come ben sappiamo dalle attuali vicissitudini, hanno ben 1000 chilometri di confine in comune. Queste due nazioni hanno sempre avuto un rapporto di rispettosa diffidenza. La Finlandia era impegnata a mantenere il baricentro di un’Europa divisa dalla cortina di ferro, tenendosi salda con dei governi di sinistra che non entrassero in astio con l’ex impero sovietico.

I nostri due compagni di viaggio rappresentano bene questa situazione, la freddezza della ragazza nordica così politicamente corretta è all’inizio in perfetta antitesi allo sciovinismo dell’uomo russo, ma poi il calore umano e protettivo di lui avvolge il gelo e la tristezza del cuore di lei e il viaggio inizia per davvero.

L’universo maschile e quello femminile, il microcosmo di uno scompartimento e il macrocosmo di un intero continente, l’incontro con l’altro, il conoscersi il non sentirsi diversi. Essere alla fine tutti umani sotto questo cielo di un’Europa composita. Un tema molto attuale.

Ornella Bertagnoli