Prendi il racconto, spezzagli le reni come si rompe la carcassa di un pollo, poi lascialo lì, spezzato, rotto. Honoré de Balzac

Esergo a La macchina dell’errore – Storia di una lettura di Mario Lavagetto

La redazione di exlibris20 è specializzata nel raccontare e scrivere di libri. Siamo lettrici-narratrici, lettori-narratori di libri. Perché lo facciamo?

Per far conoscere i libri ad altre lettrici e lettori, per presentare chi li ha scritti e chi li ha pubblicati, dovrebbero pagarci, perché facciamo circolare e acquistare i loro prodotti.

Nessuno ci paga però, lo facciamo gratis. La risposta giusta quindi è: scriviamo dei libri che leggiamo, perché ci piace.

Da piccole forse eravamo quelle rompiscatole che raccontavano agli amici di aver letto un bel libro che “parla” di … o forse no, come nel mio caso, non raccontavo a nessuno di cosa parlavamo i miei libri, gli altri mi vedevano leggere, mi vedevano ascoltare qualcosa o qualcuno che mi parlava dal libro, vedevano anche che questo mi faceva ridere o piangere e tanto bastava. Finito di leggere, correvo a giocare per strada con bambini che non leggevano libri e a cui non poteva interessare di cosa parlavano i miei libri.

Per desiderio o per mancanza di condivisione ci piace scrivere dei libri letti, perché leggere un buon libro ci rende felici. E si sa, la felicità, se non condivisa, non è vera felicità.

Raccontare a voce un libro letto o un film può risultare noioso e persino fastidioso per chi ascolta (rischio spoiler… o noia). La voglia di condivisione di chi legge si infrange sul sorrisetto accondiscendente e impaziente dell’ascoltatore.

Meglio scrivere. Scrivere dei libri letti permette una condivisione impersonale e indistinta, rilancia la scelta della condivisione a chi volontariamente la accoglie, la legge e la ascolta con i sensi della mente e del cuore; crea una comunità ideale di lettori a cui passare il testimone di quella intima felicità di lettura.

Al lettore-narratore di libri resta l’onere di altre scelte: da dove iniziare, da quale angolo raccontare, con quale linguaggio, cosa scartare della trama e cosa evidenziare.

A volte è il libro a reclamare un percorso; altre volte il libro non vuole farsi raccontare. Bisogna aspettare pazientemente, usare astuzia, lasciare che nasca l’idea di quel libro che, anche dopo mesi, appare, come un’epifania. Allora siamo pronti per scrivere e lanciare in poche righe, autentiche ed esatte, l’amo della lettura ad altri lettori.

Non seguo un metodo o uno schema fisso. Aspetto che la storia letta faccia il nido nella mia mente, nei miei sensi interiori, la covo, come un uovo che so essere fecondo, aspetto che si schiuda, allora vengono le parole, le immagini, la strada da seguire. Può capitare che sto tagliando le verdure o lavando i piatti o guidando e mi nascono le parole per iniziare o per raccontare. Il pollo di Balzac, il racconto letto, lasciato lì smontato a pezzi nella mia memoria, si ricompone da sé in un altro testo che reclama di essere scritto, per raccontare agli altri quella storia.

Un libro può far male, può essere doloroso a leggersi e lasciare una segno da cui vogliamo proteggerci, in quel caso l’attesa è necessaria, le parole devono salvarsi come un naufrago su una barca capovolta, devono trovare la strada della resilienza per dare senso al dolore provato e immaginato nelle vicende dei personaggi e al riverbero lasciato in noi.

Con la redazione abbiamo deciso di raccontare come fa ognuna/o di noi quando deve scrivere di un libro, e presto lo condivideremo con tutte e tutti voi lettrici e lettori!
Io per esempio prendo appunti a mano con carta e penna, annoto frasi e parole chiave, numeri di pagina, traccio un percorso con punti e intersezioni che riempio di frasi. Dopo aver scritto provo grande piacere ad accartocciare e buttare via quel foglio. Inoltre mi immagino i complimenti dell’autore o dell’autrice del libro che mi dice che sono stata brava a raccontare il suo libro.

Maria Antonietta Nigro